C’è una domanda che dopo sedici mesi di pandemia abbiamo iniziato a farci con insistenza, che spunta spesso nelle conversazioni di questa estate: e se le mascherine fossero qui per rimanere sulle nostre facce anche a emergenza finita? Le metropolitane di Milano e Roma sembreranno quelle di Tokyo e Seul? La metteremo per andare al pronto soccorso, dal medico di base, al lavoro quando abbiamo un raffreddore? Il nostro orizzonte di certezze è troppo limitato per saperlo ora, dipende dall’andamento dell’emergenza sanitaria, ma anche da quello delle nostra percezione, dalla capacità umana di costruire e disfare abitudini, di allargare e restringere le zone di comfort.

C’è una persona che a questa risposta sta lavorando ed è Pier Paolo Zani, amministratore delegato di Bls, l’unica multinazionale italiana della mascherina, che nello stabilimento di Cormano (Milano) faceva dispositivi di protezione per la respirazione da prima che diventassero una questione di sicurezza globale, forse il singolo oggetto più importante del mondo.

Scoperta respirazione

Zani è in quella delicata posizione, umana prima ancora che imprenditoriale, di chi ha finalmente tutto l’ascolto del mondo, e non per i motivi più entusiasmanti. «Prima della pandemia, scarpe e guanti erano i dispostivi di protezione percepiti come più importanti, sulla respirazione si faceva meno attenzione». Con mani e piedi il dolore è immediato e il bisogno viene elaborato in modo più lineare, quello che ci entra nei polmoni tende a essere invisibile. «Il Covid ha purtroppo sdoganato il concetto che respirare non è più una cosa da dare per scontata. Il nostro claim era “Feel free to breathe”, sentiti libero di respirare, già molto prima di questa pandemia».

Era un settore di nicchia, Bls l’unico punto di riferimento italiano, una delle tante «multinazionali tascabili» iper specializzate, piccole ma globali. «Siamo una boutique company», così si definisce Zani, con esportazioni in ottanta paesi del mondo ma una vita – diciamo – industrialmente tranquilla. Il settore sanitario era per altro una parte significativa ma piccola del business complessivo, circa il 10 per cento, che ruotava principalmente intorno a una fornitura fissa di Fp2 e Fp3 all’anno per l’ospedale Sacco di Milano, specializzato in malattie infettive. La principale leva di crescita industriale erano state le leggi per la sicurezza sul lavoro emanate dagli anni Novanta in poi, al cui ritmo è cresciuta Bls, fondata nel 1970. Poi è arrivato il Covid a cambiarne il destino di questa azienda, l’unica in Italia del settore che avesse una capacità produttiva comparabile al bisogno nazionale esploso all’improvviso, con le filiere globali bloccate dal nazionalismo sanitario dei primi mesi del Covid-19. Oggi la produzione si è assestata su cinque milioni di pezzi al mese, il numero di dipendenti è raddoppiato, il fatturato è cresciuto del 200 per cento.

«Il sabato di Codogno il capo dei carabinieri della Lombardia ci ha mandato una Pec per chiedere 20 milioni di mascherine per gli ospedali e le forze dell’ordine». Una richiesta del genere distrugge qualunque tipo di previsione produttiva, era più del 300 per cento del normale volume, sono le proporzioni di un settore che è impazzito, che nei mesi successivi sarebbe stato travolto dalle speculazioni e dalle falsificazioni, che globalmente ha dovuto produrre fino 60 volte rispetto al ritmo normale prima di assestarsi. «Abbiamo trovato e denunciato farmacie che vendevano i nostri prodotti a cinquanta euro l’uno, noi non abbiamo mai alzato il prezzo, ma ogni giorno dovevamo dichiarare al governo quanto producevamo e loro avevano il diritto di prendere i prodotti prima che arrivassero al mercato, una logica che distrugge ogni dinamica aziendale, ma era una guerra e c’erano situazioni da guerra».

Bls ha moltiplicato le linee produttive, ha aperto un nuovo sito a Paderno Dugnano ed è entrata nel nuovo mondo. «Dalla Sars del 2003 in poi le pandemie facevano parte dei nostri cicli, erano in qualche modo previste e attese, ma ovviamente non c’era mai stato niente di paragonabile al Covid, una situazione in cui tutto il mondo si è letteralmente fermato per l’impossibilità di respirare in sicurezza».

Ora che il mercato è tornato stabile e che anche Bls ha trovato una nuova normalità, si guarda al futuro, e a quella domanda dalla quale parte anche questa storia: le mascherine rimarranno o sono destinate a essere un ricordo pandemico? Zoni scommette sul fatto che una volta scoperta la fragilità della respirazione non torneremo più indietro, e non solo per motivi strettamente sanitari. «Ora che abbiamo sdonagato la protezione delle vie respiratorie, abbiamo capito che ci sono anche altri fronti su cui proteggerci».

E qui entra in gioco la vulnerabilità ambientale, soprattutto per chi vive in un contesto urbano. Il ragionamento è che non siamo diventati più sensibili alle allergie da pollini e allo smog, ma ora siamo più propensi a mettere una barriera, anche considerando il terzo elemento dell’equazione, un futuro in cui la mobilità sostenibile (biciclette e monopattini) si prenderà un ruolo più centrale nella vita degli italiani e nel quale quindi i comportamenti si adegueranno di conseguenza. «La protezione delle vie respiratorie diventerà come quella per gli occhi quando la luce è troppo forte».

Innovazione

La transizione da mascherina usa e getta a oggetto di design richiede soprattutto una cosa: innovazione tecnologica. È qui che entra in gioco Narvalo, un progetto spin-off del Politecnico di Milano, al quale Bls partecipa. L’idea è nata prima del Covid, all’interno del Polihub, l’incubatore di startup del Politecnico, ma ovviamente la pandemia ne ha cambiato le prospettive. Narvalo è una mascherina Fp3 ergonomica con una valvola elettronica che filtra l’aria, un dispositivo wearable come uno smartwatch, che misura parametri come la frequenza e la qualità del respiro e l’inquinamento dell’aria, aggiornato in tempo reale con i dati delle centraline Arpa (Agenzia regionale per l’ambiente). Forse non è il massimo, ma per dare un’idea dell’effetto il Narvalo misura il beneficio in quantità di sigarette risparmiate, non è una bella immagine ma rende l’idea.

«È un oggetto adatto alla crisi ecologica come a quella sanitaria», spiega Zoni, «pensato per chi si allena all’aperto, per chi si sposta in bici, in monopattino o in scooter, per chi soffre di allergie, per chi non ne può più dello smog». Il Covid-19 ci ha abituato all’oggetto, il calcolo che stanno facendo in Bls è che molti non avranno voglia di tornare indietro a respirare senza filtri germi e particolato anche quando ogni obbligo sarà caduto, anche perché le particelle di Pm10 e Pm2.5 fanno 66mila vittime premature all’anno in Italia. «Inoltre la mascherina potrebbe rimanere molto a lungo in ambienti chiusi come gli aerei, e allora in un viaggio a lunga percorrenza molto meglio indossare un oggetto comodo, ergonomico e davvero capace di migliorare la respirazione».

C’è qualcosa di apocalittico nel successo che ha avuto Narvalo dopo il finanziamento su Kickstarter (oltre 70mila euro raccolti). È la risposta a una sensazione che ha a che fare con il nostro nuovo senso del futuro, precario e preoccupato. Oggetti come le mascherine hi-tech alla Narvalo sono accessori per un mondo nuovo: quando il fumo degli incendi dell’ovest americano di questa estate è arrivato sulle città della costa orientale, rendendo l’aria irrespirabile, Róisín Commane, esperta di inquinamento atmosferico della Columbia University, ha detto al New York Times che le mascherine anti Covid potevano essere usate con profitto anche per proteggersi da questo disastro ecologico, e il blogger Jason Kottke ha opportunamente commentato: «È sempre carino quando due distopie apocalittiche funzionano così bene insieme».

È anche l’idea alla base delle mascherina wearable: nessuno ci garantisce più per l’aria che respiriamo e respireremo, il Covid potrebbe non essere l’ultima pandemia (e il suo finale comunque ora non si intravede ancora), incendi e inquinamento rischiano di essere scenari frequenti ad alto impatto respiratorio, a questo punto è meglio attrezzarsi. Un altro dei progetti ai quali sta lavorando Bls è l’economia circolare della mascherina, da pulire e sanificare dopo l’uso per farne una materia prima secondaria per realizzare altri tipi di prodotti. È un sistema in fase di ricerca applicata, arrivato ai primi test (sempre al Politecnico di Milano), lo sviluppo concreto dovrebbe prendere corpo entro la fine dell’anno.

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