«Ho avvertito la difficoltà di trovare le parole adatte per esprimere a ciascuno di voi un pensiero augurale». Per il suo discorso di fine anno Sergio Mattarella misura le parole, sceglie quelle che arrivano più dirette ai cittadini e alle cittadini chiusi in casa per un Capodanno nel contagio, cancella quelle che suonano come richiami espliciti alla crisi della maggioranza, alle forze politiche in generale e a qualcuna in particolare. O a qualcuno. «Il presidente parla a tutti», spiegano dal Colle. Eppure in almeno due passaggi è forte l’impressione di un riferimento al pasticcio imbastito da Matteo Renzi con l'apertura della crisi. E al vicolo stretto, forse cieco, in cui si è infilato il premier Giuseppe Conte, che alla sua conferenza di fine anno ha sfidato il leader di Italia viva a un confronto parlamentare. Una situazione che ricorda quella dell’estate del 2019, la «sfiducia del Papeete» da parte di Matteo Salvini che finì con un cambio di maggioranza e un nuovo governo.

Mattarella usa toni empatici, quelli che non sono mai riusciti a Conte e che il capo dello stato invece ha sempre tenuto nelle sue corde. Parla della pandemia che «mette a rischio le nostre esistenze». Per pronunciare il suo messaggio al paese esce dalla formalità del suo studio, resta in piedi davanti alla vetrata del piano terra del Quirinale, una vetrata aperta come aperte sono rimaste le finestre delle aule scolastiche, delle case e degli uffici, per combattere il contagio. Alle sue spalle non c’è segno di festa, solo tre bandiere (italiana, europea e quella del Quirinale). E’ la postura di chi si mette all’altezza dei cittadini e delle cittadine. E che ricorda avvenimenti angosciosi: la «drammatica contabilità dei contagi, delle morti», «le immagini, delle strade e delle piazze, deserte. Le tante solitudini. Il pensiero, straziante, di chi moriva senza avere accanto i propri cari». Il 2021 sarà l’anno dei vaccini: «E’ necessario tutelare la propria salute ed è doveroso proteggere quella degli altri». Con sobrietà annuncia: «Io mi vaccinerò appena possibile. Dopo le categorie che, essendo a rischio maggiore, debbono avere la precedenza».

Ventuno di crisi

Ma nel suo breve discorso – solo 14 minuti - sembra comunque dare un’indicazione di metodo alle forze, soprattutto della maggioranza, impantanate nello stallo. Parla di «responsabilità, delle istituzioni anzitutto; delle forze economiche; dei corpi sociali. Di ciascuno di noi», di «serietà, collaborazione, senso del dovere» necessari «per proteggerci, e per ripartire». «E’ tempo di costruttori», dice, e cioè non di sfasciacarrozze, «I prossimi mesi, rappresentano un passaggio decisivo, per uscire dall’emergenza; e per porre le basi di una stagione nuova». La declinazione italiana del Recovery plan deve essere «concreta, efficace, rigorosa, senza disperdere risorse». Ammette dunque errori: e non possono che essere innanzitutto quelli del governo e di chi ne dirige l’azione, Conte: «Cambiamo ciò che va cambiato, rimettendoci coraggiosamente in gioco», «Ognuno faccia la parte propria». Esclusi altri errori: «Non sono ammesse distrazioni. Non si deve perdere tempo. Non vanno sprecate energie e opportunità per inseguire illusori vantaggi di parte».

L’ipocrisia degli applausi

La destra, divisa su una mozione di sfiducia proposta da Giorgia Meloni ma che secondo la Lega finirebbe per ricompattare la maggioranza, applaude il Colle perché legge in queste parole una critica ai giallorossi. Nella «libera» traduzione del senatore forzista Andrea Cangini, Mattarella dice a Conte: «Ammetti gli errori fatti, smettila di raccontare una realtà inesistente, cerca di recuperare il tempo perduto sul Recovery Fund, perché senza concretezza e rigore sull’utilizzo delle risorse europee l’Italia si gioca il futuro». Conte naturalmente le legge in tutt'altra maniera: sottolinea i passaggi sulla ritrovata solidarietà europea, il cui merito il premier attribuisce a sé stesso. Matteo Renzi resta sulle generali: «Le parole del presidente rappresentano totalmente lo spirito di un paese ferito ma pronto a ripartire». Ma ripartire come? In queste ore dal leader di Italia viva filtra la delusione per il niet del premier su due delle sue condizione per restare in maggioranza, il Mes e l'autorità delegata per i servizi segreti. Ma il freddo verso palazzo Chigi sale anche dai dem: mercoledì, nell’annunciare il sì del Pd alla legge di bilancio, il senatore Luigi Zanda ha parlato di «spodestamento» del parlamento da parte del governo, e di un’emergenza che «crea consuetudini e precedenti».

Le vicende della maggioranza presto finiranno sul tavolo di Mattarella. Che a fine discorso sottolinea che inizia il suo «ultimo anno come presidente della Repubblica». Non c’è enfasi, può essere una constatazione della fine del settennato. Eppure in queste parole può essere letto un no al secondo mandato che in molti immaginano come prospettiva di stabilità di una legislatura traballante. Chi ha parlato negli scorsi mesi con Mattarella ne conosce le considerazioni: nove anni – la durata dei due mandati del suo predecessore Giorgio Napolitano – è il tempo della carica più longeva, quella dei giudici della Consulta; 14 anni sarebbe una durata «da monarchia». Chi spera in un bis di Mattarella deve fare i conti con questa sua convinzione. Sempre che la maggioranza giallorossa resti tale fino al voto per il Colle, e cioè a inizio del 2022.

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