Una schiarita, a inizio giornata, arriva dal colloquio fra Sergio Mattarella e Mario Draghi. Il presidente del Consiglio lascia intravedere lo spiraglio per un suo ripensamento. Quello su cui il presidente della Repubblica contava, nei cinque giorni di decantazione che, su sua iniziativa, hanno separato la sera in cui ha respinto le dimissioni di Draghi, il 15 luglio, e la giornata del suo ritorno alle camere, oggi.

È successo quello che il Colle prevedeva: sono piovuti gli appelli di mezzo paese, quelli internazionali, sindaci, presidenti di regione – tutti tranne l’unico di Fratelli d’Italia –, fino all’apposita nota minacciosa dell’agenzia Fitch che parla della incipiente «incertezza politica» del nostro paese.

Quando torna a palazzo Chigi Draghi incontra Enrico Letta, che poi non riferirà neanche ai suoi dirigenti i dettagli della conversazione. Da palazzo invece filtra, ma con mille condizionali, qualche virgola sulla disposizione d’animo del premier: nel suo discorso, stamattina al Senato alle 9 e mezza, potrebbe lanciare qualche segnale verso chi, nei Cinque stelle, vorrà votarlo.

Manovre destre

Nel pomeriggio però la tela si disfa dal lato della destra di governo. Matteo Salvini incontra i suoi amministratori e i presidenti di regione, tutti contrari al voto anticipato. Da pranzo a sera i vertici della destra di governo si riuniscono a Villa Grande, il villone romano di Silvio Berlusconi, e da lì il leghista tenta di sfasciare il fragile tentativo di rimettere insieme i cocci della maggioranza: fa sapere di una sua profonda irritazione per il faccia a faccia fra Draghi e Letta, e per la presunta scelta di risolvere la crisi confrontandosi solo con il lato sinistro della maggioranza. Fonti di palazzo Chigi fanno sapere che è stato il segretario Pd a chiedere il confronto. A sera saranno Salvini e Tajani e compagnia ad andare da Draghi. I ministri forzisti, pasdaràn draghiani ma non convocati in villa, buttano otri di acqua sul fuoco e spingono dalla parte della prosecuzione del governo.

Per la Lega una delle condizioni per votare la fiducia è la «discontinuità»: nella maggioranza non ci deve essere il M5s. E, al netto del gioco al rialzo di Salvini, la soluzione della crisi si potrebbe avviare in quella direzione. I Cinque stelle entrano nella giornata di oggi senza un’indicazione di voto definitiva. Solo un gruppo di scissionisti alla Camera, dove il dibattito si svolgerà domani, e un manipolo al Senato, sono convinti di votare la fiducia.

Solo che per il Pd quella direzione si chiama con un nome opposto, e cioè «continuità». Letta lo spiega nel primo pomeriggio al coordinamento dem quando fissa la linea del partito. «Serve continuità, ho fatto tutti gli sforzi necessari, e continuerò in queste ore, per far sì che il governo continui. Nell’interesse del paese bisogna rilanciare il lavoro del governo, in particolare per la svolta sociale che abbiamo ottenuto, non possiamo buttare via l’occasione della legge di Bilancio per la protezione degli italiani più fragili», sono le parole che vengono riferite da chi le ha ascoltate.

Lì Letta annuncia «l’appello» che più tardi scandirà dal palco della festa dell’Unità di Roma, e dopo ripeterà ai gruppi parlamentari: «Faccio appello alle forze politiche di maggioranza a continuare questa esperienza di governo e a rilanciarla, senza mettere veti». Ma per «andare avanti» bisogna «trovare la compattezza in parlamento, come chiede il paese. Ascolteremo il discorso del presidente del Consiglio» ma la indicazione è «confermargli il sostegno» nella convinzione, forse più una speranza, che questo sostegno «possa arrivare anche dagli altri partner di governo».

Discontinuità, discontinuità: per rimettere insieme le forze politiche che votano lo stesso premier intendendo due cose opposte, servirebbe una formula da minimo comune multiplo, come ipotizza il deputato Stefano Ceccanti. Del tipo «la Camera, udite le comunicazioni del presidente del Consiglio le approva», senza ulteriori specificazioni. Oltre non si può andare, se non a rischio di far saltare tutto un’altra volta. A sera ancora l’orizzonte non è chiaro. «È molto possibile che nelle prossime ore dovremo vivere un po’ di sconquassi, provocati da decisioni di altri», ammette Letta, e ce l’ha con la Lega, oltreché con il M5s, «è possibile che saremo chiamati a scelte per cui è fondamentale l’unità, senza aver paura del paese».

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