Serve «una specifica sessione di dibattito parlamentare» per dare un seguito concreto «al discorso con il quale il presidente della Repubblica ha accettato il suo secondo mandato». La richiesta viene dalle presidenti dei deputati e dei senatori del Pd, Debora Serracchiani e Simona Malpezzi, che l’hanno inviata ai presidenti delle aule e la proporranno alle rispettive riunioni dei capigruppo.

La spinta si capisce: il parlamento si è spellato le mani in 55 applausi al discorso del capo dello stato, ma ora il rischio è che quella che viene già chiamata “l’agenda Mattarella” resti solo nei resoconti stenografici di Montecitorio. Come del resto è già successo al severo discorso di Giorgio Napolitano nel 2013. Il Pd stavolta prende l’iniziativa e prova a incassare impegni formali dalle altre forze politiche, perché, scrivono le due presidenti, gli applausi impongono «un attivo ruolo riformatore da parte delle camere».

Sull’iniziativa scommette il segretario Enrico Letta, il leader uscito meglio dalla settimana dei conflitti quirinalizi: «Ci giochiamo la credibilità», se gli impegni contenuti nel discorso del presidente «rimanessero lettera morta, la politica meriterebbe il biasimo che da tempo serpeggia nella nostra società. Troviamoci a discutere rapidamente dello strumento parlamentare più idoneo».

Quasi tutti i partiti rispondono sì: lo fa la Lega (Massimiliano Romeo: «Anche se abbiamo idee differenti, c’è disponibilità»), Leu, il socialista Riccardo Nencini, il “fratello d’Italia” Francesco Lollobrigida, e anche la presidente dei senatori di Forza Italia Anna Maria Bernini («Tenendo conto che il passaggio più lungo e articolato del discorso ha riguardato l’urgenza di riformare la giustizia, partiamo da questo punto cruciale»). La grillina Mariolina Castellone chiede di seguire «il cronoprogramma del governo sul Pnrr».

Ma un sì non costa molto. I punti sono due: il primo, il tasso di concretezza di queste disponibilità. Il secondo, cruciale, è capire se un teorico protagonismo del parlamento su una serie di provvedimenti difficili dia davvero una mano a Draghi; oppure finisca per complicare la vita a un esecutivo che dal primo consiglio post Colle ha già crepe sul fianco destro.

Poi c’è il fatto che una parte dei «titoli» dell’agenda Mattarella sono oggi nelle mani del governo. E infatti fra i ministri, al di là del generico apprezzamento dell’iniziativa, ricorre la parola «perimetro»: sia a proposito dei temi delicati nella maggioranza, sia a proposito di quelli che riguardano il Pnrr e partono necessariamente da palazzo Chigi. Come le leggi delega, dalla riforma fiscale agli appalti pubblici. Insomma l’agenda Mattarella dovrà essere armonizzata con l’agenda Draghi.

Convergenze e divergenze

Ma anche restando alle competenze più strette del parlamento, la questione è delicata. Al netto della riforma del Consiglio superiore della magistratura, «indispensabile» per Mattarella ma ancora impantanata, basta scorrere i passaggi del discorso e dare un occhio ai provvedimenti già depositati. Se alla voce «diseguaglianze e contrasto alla povertà» la riforma del reddito di cittadinanza è,

fin qui, nelle mani del governo, alla voce «autonomie locali» alla Camera è depositata una proposta di legge del Pd sull’autonomia differenziata, e a occhio la Lega, orfana della sua impostazione, difficilmente ne consentirà l’approvazione. Per non parlare dell’immigrazione: in commissione giacciono molte proposte di abolizione della legge Bossi-Fini sulle quali Lega e Fdi sono pronti a farsi esplodere; anzi Giorgia Meloni è convinta di aver sentito, nelle stesse parole del presidente, un passaggio che va in direzione opposta.

Seguendo il discorso «della dignità» di Mattarella si può intuire qualche tema meno “divisivo” e politicamente sensibile, come la legge sui “caregiver”, il riconoscimento giuridico della persona che a titolo gratuito si prende cura di un caro; e alla voce ambiente si può auspicare un accordo sulla legge «salvamare» sui rifiuti raccolti da navi e pescatori; e sull’economia circolare dei rifiuti e sulla vigilanza del pacchetto sulla transizione ecologica.

Forse – ma non è detto – una convergenza sullo stop al trasformismo parlamentare e sulla decretazione d’urgenza. Ma sono casi rari. Per il resto, basta ricordare il tonfo che ha fatto in senato la legge Zan contro l’omotransfobia.

A proposito della «dignità dell’opposizione al razzismo e all’antisemitismo», per esempio, Pd e Lega da sempre si scagliano veti reciproci, come sulle leggi Fiano sulla propaganda dei metodi eversivi e per la prevenzione della radicalizzazione dell’estremismo violento bloccata dalla Lega. Sono molte le potenziali battaglie parlamentari tenute in sonno per non spaccare la strana maggioranza, come il finanziamento dei partiti, e persino i «ristori educativi».

E questo anche tenendo fuori dall’agenda il tema della legge elettorale, su cui le forze politiche sono divise da fossati: ieri il coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani ha detto un no al proporzionale che rischia di essere tombale: «Non è un argomento da inserire all’ordine del giorno dell’ultimo anno di legislatura».

© Riproduzione riservata