Si dice cha a volte dal male nasce il bene. Viene da chiedersi se questa possibilità possa riguardare l’azione del governo dopo la settimana desolante per la politica dedicata all’elezione del presidente della Repubblica.

È difficile dare al momento una risposta sicura, ma è una possibilità da considerare. La vicenda dell’elezione ha fortemente indebolito vari partiti e i loro leader.

Ciò vuol dire che nell’immediato saranno impegnati nelle questioni interne e la loro capacità di condizionare l’azione di governo diminuirà. A ciò è da aggiungere la “protezione” offerta dalla presenza di Sergio Mattarella al Quirinale.

Inoltre il premier non è a capo di un partito che debba affrontare le prossime elezioni. Paradossalmente, dunque, il governo, che ha rischiato di venire travolto, potrebbe ora uscirne rafforzato.

Naturalmente, tale esito non dipende solo dalle condizioni di contesto, ma anche dal modo in cui i soggetti in campo, a partire dal presidente del Consiglio, scelgono di percorrere alcune strade invece di altre.

È stato notato come negli ultimi mesi l’azione di governo, a parte il Pnrr, si sia effettivamente affievolita su temi cruciali per il futuro del paese. Si pensi ai nodi della riforma del welfare e della fiscalità.

Abbiamo livelli di disuguaglianza tra i più alti nell’ambito delle democrazie avanzate, nonostante spendiamo e tassiamo in misura non molto diversa da altri paesi europei nei quali la redistribuzione contrasta più efficacemente le disuguaglianze e pesa di meno sul bilancio dello stato e su quello delle imprese.

Il fatto è che questa redistribuzione perversa, cresciuta nel tempo per effetto di politiche irresponsabili di ricerca del consenso, ha creato una giungla di interessi piccoli e grandi che se toccati alimentano per le varie forze politiche costi elettorali immediati a fronte di benefici a lungo termine e diffusi che è più difficile intestarsi.

L’indebolimento dei partiti potrebbe dunque aprire maggiori margini di manovra per interventi che affrontino una vera e propria emergenza sociale, oltre a quella economica che è affidata alle sorti del Pnrr.

È difficile tuttavia pensare che la riforma dei meccanismi redistributivi possa essere affrontata solo con l’arma del prestigio e della competenza del premier, o anche con la minaccia di lasciare.

Ci vogliono delle alleanze che aiutino a neutralizzare le prevedibili reazioni, specie in un anno elettorale. È in questa prospettiva che andrebbe forse ripensato e rilanciato il rapporto con le forze sindacali e imprenditoriali (che certo hanno anch’esse i loro problemi, per esempio le pensioni).

A differenza delle attuali forze politiche, hanno però maggiori capacità di trarre vantaggio da interventi che portino benefici diffusi a lungo termine. Specie se adeguatamente motivate e coinvolte in un ampio "scambio politico” di cui il premier dovrebbe farsi garante fiduciario.

                                        

                                                    

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