La pandemia ha cancellato la parata militare per il secondo anno consecutivo, ma è ugualmente solenne la la festa della Repubblica 2021. Anzi di più. Per il settacinquesimo anniversario del referendum costituzionale, quello in cui gli italiani scelsero di liberarsi della monarchia e della famiglia Savoia che tanta parte aveva avuto nel consegnare il paese al fascismo, il presidente a sera aggiunge un discorso ai tradizionali messaggi, ai prefetti, agli ambasciatori e alle Forze armate. È anche l’ultima festa della Repubblica del suo mandato, almeno ad ascoltare la sua ferma intenzione a non accettarne un altro. Ma dal Colle si raccomanda di non leggere le sue parole in alcun modo in questa prospettiva.

Il Cortile d’Onore del palazzo del Quirinale è allestito per le grandi occasioni, gli ospiti – distanziati e disposti in un rigido cerimoniale antiassembramento, quello che fa sembrare ogni folla una performance teatrale  –sono i rappresentanti delle più alte istituzioni e un gruppo gli studenti a cui il presidente Sergio Mattarella vuole rivolgere un messaggio e forse affidare un compito. Nel 1946 gli italiani, dice il presidente, «cominciarono a costruire una nuova storia. Anche oggi siamo a un tornante del nostro cammino dopo le due grandi crisi globali, quella economico finanziaria e quella provocata dalla pandemia. Come lo fu allora, questo è tempo di costruire il futuro». Cos’è la Repubblica?, chiede il presidente. «Sono i suoi principi fondativi. Le sue istituzioni. Le sue leggi, la sua organizzazione», certo, ma quello che gli sta a cuore dire, nel pieno di una difficile ripartenza del paese, la Repubblica è di più, «è, prima di tutto, la storia degli italiani e della loro libertà».

Come sempre Mattarella mette l’accento sul ruolo dei partiti, sulla loro unità, ma soprattutto oggi parla delle persone, «la straordinaria mobilitazione popolare» che salvò il paese dal terrorismo e dalle mafie, «La Repubblica è legalità. E mentre lo diciamo avvertiamo il dovere di fare memoria di chi ha pagato con la vita il proprio impegno contro le mafie. Quelli noti e quelli meno ricordati. Uomini dello stato, semplici cittadini, esponenti politici, sacerdoti, giornalisti, che con il loro sacrificio hanno saputo dare speranza e coraggio a chi non si rassegna alla prepotenza criminale». Ma è la «la risposta di popolo», il romanzo corale della nostra storia che ha fatto la migliore il paese, come «la solidarietà che scattò all’indomani dell’alluvione del Polesine che colpì le province venete, nel novembre del 1951, con quasi cento vittime e più di 180.000 sfollati, soccorsi e ospitati spontaneamente da tantissime famiglie in tutto il Paese», è il ricordo degli angeli del fango.

«La Repubblica è umanità», e qui cita «l’impegno della nostra Guardia costiera e della Marina militare per salvare la vita di persone spinte dalla disperazione alla deriva nel Mediterraneo». E «La Repubblica è solidarietà», dice ancora, «le cure che la Repubblica è riuscita ad assicurare a tanti italiani, adesso ci pongono di fronte alla necessità, comune, di avere cura della Repubblica. Ognuno di noi ha ricevuto la solidarietà di altri italiani. Lo abbiamo sottolineato celebrando il 2 giugno, l’anno scorso, a Codogno. Ciascuno ha bisogno degli altri».

Prima di lui l’inno di Mameli viene suonato in una versione mai sentita nei palazzi, per solo piano, suonato o meglio solo toccato al piano dalla giovanissima artista Frida Bollani Magoni. Ma il presidente ha voluto che l’artista ipovedente eseguisse, e cantasse, anche «La cura», capolavoro e forse testamento del maestro Franco Battiato da poco scomparso. Un omaggio, ma anche una raffinata premessa e sottolineatura delle parole che il presidente si apprestava a pronunciare. Anche lui riprende un altro cantautore italiano, Francesco De Gregori di La storia siamo noi, «nessuno si senta escluso». 

È un Mattarella “sociale”, come sempre attento agli ultimi ma stavolta anche più del solito. Parla del lavoro «motore della trasformazione del nostro Paese». Delle disuguaglianze: ricorda che «c’è un articolo, in particolare, della nostra Costituzione, quello sull’uguaglianza, che suggerisce una riflessione su quanto sia lungo, faticoso e contrastato il cammino per tradurre nella realtà un diritto pur solennemente sancito. Questo principio, vero pilastro della nostra Carta, ha rappresentato e continua a rappresentare una meta da conquistare. Con difficoltà, talvolta al prezzo di dure battaglie. Per molti aspetti un cammino ancora incompiuto. Penso alle differenze economiche, sociali, fra territori». Quando parla di diseguaglianze, il presidente non dimentica quella fra uomini e donne. E sono molte le donne che cita nel discorso. La senatrice Lina Merlin, «pioniera della dignità femminile», Nilde Iotti, eletta presidente della Camera nel 1979, Samantha Cristoforetti, «prima europea chiamata a comandare la stazione spaziale». Ma anche Luana D’Orazio, la giovane stritolata da una macchina tessile a  sul lavoro a Montemurlo, Prato, lo scorso 3 maggio. A nome delle molte Luana Mattarella chiede a tutti l’impegno «al dovere di affrontare il tema della sicurezza dei lavoratori con determinazione e con rigore».

Difficile non pensare che Mattarella non creda di essere al suo ultimo 2 giugno del suo mandato da presidente, quando si rivolge ai ragazzi «che oggi sono qui e a quelli che avranno modo di ascoltare queste parole», e affida loro un compito: «La storia di questi settantacinque anni è stato il risultato, il mosaico di tante storie piccole e grandi, di protagonisti conosciuti e di testimonianze meno note. Tocca ora a voi scrivere la storia della Repubblica».

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