Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, apre il meeting di Rimini, la convention annuale organizzata da Comunione e liberazione. Interviene in collegamento dal Quirinale, in pieno semestre bianco, e il suo discorso non può che suonare come una sorta di lista di obiettivi di medio e lungo periodo da lasciare in eredità a chi – salvo sorprese – gli succederà. Del resto lo stesso titolo della quarantaduesima edizione dell’evento, “Il coraggio di dire io”, risulta allusivo se letto alla luce della delicata fase politica italiana.

La frase è tratta dal diario del filosofo danese Søren Kierkegaard e si riferisce al rischio che il singolo, nei momenti di difficoltà, venga ridotto a far parte di una massa indistinguibile. Eppure, in un meeting che si colloca all’inizio di sei mesi cruciali per il governo Draghi e che vede tra gli ospiti buona parte del governo e dell’arco parlamentare, la citazione è più che evocativa.

L’intervento di Mattarella

Nel suo intervento di apertura, Mattarella ha parlato soprattutto dei difficili mesi di pandemia: «Ci siamo scoperti più fragili di quanto credevamo», ma «abbiamo compreso con maggiore chiarezza di aver bisogno del sostegno degli altri», ha detto il capo dello stato, evidenziando come «nella comunità abbiamo trovato risorse preziose». Poi si è espresso in modo netto sui vaccini, ricordando anche le parole di papa Francesco. «Vaccinarsi è un dovere non in obbedienza a un principio astratto, ma perché nasce dalla realtà concreta che dimostra che il vaccino è lo strumento più efficace di cui disponiamo per difenderci e per tutelare i più deboli».

Ha poi ricordato la responsabilità di difendere la libertà, con un riferimento indiretto alla situazione afghana: «Ci rendiamo conto di quanto la mancanza di libertà o la perdita di essa in altri luoghi del mondo colpisca la nostra coscienza e incida sulla comune convivenza nella sempre più integrata comunità mondiale». Infine, il passaggio più determinato ha riguardato il futuro dell’Unione europea, che Mattarella ha descritto come «motore di un nuovo sviluppo dei nostri paesi, uno sviluppo più equilibrato e sostenibile», rimarcando la necessità di tendere a una sempre maggiore sovranità europea. Nel nuovo contesto di «interlocutori globali che tendono a rendere più debole ogni influenza e controllo democratico» è sempre più forte l’esigenza di potenziare «la sovranità comunitaria che sola può integrare e rendere non illusorie le sovranità nazionali». La conclusione, infatti, è uno sprone che sembra rivolto proprio a chi interverrà dal palco nei prossimi giorni di meeting: «La conferenza in corso deve essere occasione di ampia visione storica e non di scialba ordinaria gestione del contingente».

Mancano Cartabia e Renzi

Il meeting di Rimini è utile cartina al tornasole degli equilibri politici, tanto più quest’anno che precede almeno due eventi determinanti per i prossimi sei mesi: l’elezione del nuovo presidente della Repubblica e le scadenze di fine anno del Pnrr per rispettare la tabella di marcia pattuita con l’Unione europea.

Non a caso la lista dei ministri che si alterneranno sul palco nei cinque giorni è nutritissimo, undici in tutto e di tutti gli schieramenti: ci saranno Elena Bonetti e Mariastella Gelmini, Giancarlo Giorgetti, Andrea Orlando e Roberto Speranza, poi Vittorio Colao e Roberto Cingolani, Luigi Di Maio, Patrizio Bianchi, Enrico Giovannini e Massimo Garavaglia. Lo stesso vale anche per il panel di martedì 24 agosto sul ruolo dei partiti nella democrazia, a cui sono presenti il presidente dei Cinque stelle Giuseppe Conte, il segretario del Pd Enrico Letta, la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, il segretario della Lega Matteo Salvini e il vicepresidente di Forza Italia Antonio Tajani. In una parola tutti i leader della politica attuale meno uno, che è uno dei due grandi assenti al meeting: Matteo Renzi, infatti, non sarà presente e per Italia viva parteciperà il presidente, Ettore Rosato. La scelta stupisce nella misura in cui il parterre vede seduti tutti i leader degli altri partiti e vista l’intenzione di Renzi di allargarsi a un elettorato moderato per cui Rimini è una delle principali occasioni di confronto.

L’assenza forse più eclatante, tuttavia, è quella della ministra della Giustizia, Marta Cartabia. Da sempre i ministri della Giustizia sono ospiti fissi al meeting e in più Cartabia è legata a Comunione e liberazione da un passato personale e anche da professoressa è stata per anni affezionata frequentatrice. Quest’anno, invece, l’invito sarebbe stato declinato cortesemente e la ragione sarebbe di strategia politica. Per quanto il suo ruolo di ministra avrebbe ampiamente giustificato la sua presenza anche al netto dei suoi rapporti personali con il movimento nato da don Giussani, Cartabia avrebbe preferito evitare proprio lo scroscio di applausi e le strette di mano dei vecchi amici.

Il calore dei ciellini, infatti, avrebbe rischiato di cozzare con il profilo che la guardasigilli si sta attentamente costruendo, soprattutto nell’ottica di una possibile salita al Quirinale. La sua presenza al meeting all’inizio del semestre bianco e già con l’aura della nuova presidente designata, infatti, avrebbe rischiato di farla finire in una trappola che i cattolici ben conoscono: quella dell’entrare papa in conclave, per poi uscirne cardinale. La sua necessità, invece, sarebbe quella di restituire un’immagine di neutralità rispetto alle parti, che quindi non prevede marchi così connotanti come quello di Cl ma che piuttosto ammicchi in direzione del centrodestra, il cui consenso è fondamentale nella partita quirinalizia. Eppure, proprio nel 2020, era stato proprio il meeting di Rimini ad accogliere in trionfo Mario Draghi, in una sorta di investitura poi maturata con l’arrivo a palazzo Chigi nel 2021. Cartabia, invece, ha scelto una strategia diversa, ritenendo più eloquente l’assenza.

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