Il presidenzialismo rischia l’ennesimo argomento di scontro nel centrodestra, dividendo l’opposizione di Fratelli d’Italia dai partiti di governo Lega e Forza Italia.

La riforma della forma di governo è uno dei cavalli di battaglia di Giorgia Meloni: a inizio legislatura ha presentato a sua prima firma una legge di riforma costituzionale, ha sollevato il tema sia durante la convention di Atreju di novembre scorso che nel corso dei giorni del voto per il Quirinale, fatali per la tenuta del centrodestra; poi l’ha ricordata minacciosamente dal palco della convention conservatrice di Milano.

Ora, proprio quella legge di riforma costituzionale approda in aula alla Camera e sembra fatta apposta per mettere alla prova la tenuta del centrodestra.

Del resto, la proposta di Fratelli d’Italia è già stata ragione di scontro: durante il suo iter in commissione del marzo scorso, infatti, il testo era stato affossato da un emendamento soppressivo proposto dal Movimento 5 Stelle ma approvato a causa dell’assenza di due voti sul fronte del centrodestra per le assenze di Annagrazia Calabria di Fi e di Ivan Invernizzi della Lega. All’epoca Meloni aveva denunciato «i giochi di palazzo», ma le accuse erano state rifiutate dagli alleati che – con i membri presenti in commissione Affari costituzionali – avevano votato a favore.

Oggi, alle 15 in Aula alla Camera, sarà di nuovo il momento della conta: la proposta della commissione Affari costituzionali è quella di rigettare la proposta di legge e Pd, M5S e Leu confermano il loro voto contrario, che sarà occasione per rinsaldare l’asse giallorossa; Lega e Forza Italia, invece, da pronostico voteranno con l’opposizione, ma c’è il rischio di scranni vuoti. Italia Viva, invece, ha fatto sapere che si asterrà: il presidenzialismo non è mai stato lontano dai pensieri di Matteo Renzi, ma la proposta di FdI non sarebbe quella che ha in mente l’ex premier.

Il testo

La proposta di legge costituzionale punta a modificare la Costituzione in varie parti, ma i cambiamenti più significativi riguardano l’articolo 84, modificandolo così che «Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto» e l’articolo 85, introducendo che «Il Presidente della Repubblica è eletto per cinque anni. Può essere rieletto una sola volta», inoltre, «è eletto il candidato che ha ottenuto la metà più uno dei voti validamente espressi. Qualora nessun candidato abbia conseguito la maggioranza, il quattordicesimo giorno successivo si procede a una seconda votazione tra i due candidati che hanno conseguito il maggior numero di voti».

In sostanza, una riforma di tipo presidenzialista sul modello francese, con un presidente della Repubblica eletto con sistema elettorale maggioritario con doppio turno, con il limite dei due mandati e che incarna sia le prerogative del capo dello stato che del presidente del consiglio.

La questione è politica

La legge costituzionale di Meloni è principalmente una sfida politica a Lega e Forza Italia. Anche al netto del fatto che i voti in Aula non basteranno pur con i ranghi compatti di tutto il centrodestra, la legge costituzionale ha bisogno di una doppia lettura a distanza di tre mesi in entrambe le camere per venire approvata. Anche ipotizzando una clamorosa approvazione alla Camera, è praticamente impossibile che ci sia il tempo tecnico per una approvazione prima della fine della legislatura.

Del resto, una modifica costituzionale è già di per sè complessa da approvare e addirittura un cambio di forma di governo non è certo cosa da fine di legislatura, meno che mai di una che si chiude con un governo tecnico e una maggioranza spuria. Recentemente, anche il Pd aveva provato una riforma costituzionale di ben minor portata – il ddl a prima firma di Luigi Zanda, che esplicitava in Costituzione la non rieleggibilità del Capo dello Stato, proprio alla vigilia del voto al Quirinale – rimasta arenata ben prima dell’arrivo in Aula.

Alla vigilia del voto, però, Meloni lancia la sfida: «Vedremo quanti avranno il coraggio di sostenerla. Non ci sono più scuse». Si tratta, infatti, di un gioco di forza: la leader di FdI punta a prendersi il ruolo di traino del centrodestra e chiede a Lega e Forza Italia – con cui però non si incontra da settimane e non ci sono vertici pianificati – una prova di alleanza, anche a costo di votare contro la maggioranza di governo di cui fanno parte.

L’alternativa è quella di trasformare il presidenzialismo in un casus belli utile all’avvicinamento verso la rottura dell’alleanza di centrodestra, di cui nessuna forza politica vuole assumersi la responsabilità.

In ogni caso, Meloni punta a trasformare un voto negativo nell’ennesima prova della coerenza del suo partito, costringendo Matteo Salvini e Silvio Berlusconi ad allinearsi. Oppure a mostrare la la loro inaffidabilità, visto che nel passato del Cavaliere sono note le battaglie per il presidenzialismo e lo stesso Salvini aveva annunciato ad Atrju il suo sì.

 

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