Continua la guerra interna alla maggioranza e si sposta dai dossier esteri a quelli interni. Mentre la premier rilancia il premierato, «madre di tutte le riforme» ferma su un binario morto da prima dell’estate scorsa, Calderoli strappa: «Porterò l’autonomia differenziata in Cdm anche se non avrò il parere di tutti i ministri»
Giorgia Meloni è sempre stata chiara: la battaglia è per resistere. Contro gli avversari, certo, ma anche contro gli alleati. Un obbiettivo per adesso raggiunto: il suo governo è il quinto per durata nella storia della Repubblica.
La presidente del Consiglio ha festeggiato con un video sui social: «In 79 anni di storia repubblicana l’Italia ha avuto ben 68 governi, noi oggi siamo al quinto posto per durata». Aggiungendo che non era scontato arrivarci con una «maggioranza coesa» e sottolineando come la riforma per il premierato resti «fondamentale per un’Italia più stabile e forte».
Le due precisazioni suonano, lontano dalle pagine social di Fratelli d’Italia, stonate. Mentre rilancia il premierato (immobile da prima dell’estate scorsa) dalla Lega il ministro Roberto Calderoli, manda un avviso al governo: «Quando sarà finito il congresso porterò in Consiglio dei ministri la legge delega sull’autonomia con le indicazioni della Corte costituzionale. Anche se non avrò ancora ricevuto i pareri di tutti i ministri. Ora basta».
Un ultimatum che bisogna leggere insieme al muro che la Lega ha innalzato di fronte a un’altra battaglia identitaria: quella in difesa del ddl Sicurezza.
Il ddl Sicurezza
Le commissioni Affari costituzionali e Giustizia del Senato hanno infatti dato il via libera al testo, rimasto invariato nella sostanza, ma con alcune modifiche necessarie per allineare le annualità delle coperture. Cosa che impone comunque la terza lettura alla Camera.
Una possibilità che la Lega aveva sempre respinto. Si apre così una partita sui contenuti del provvedimento che nell’assemblea di palazzo Madama, con le opposizioni sul piede di guerra (hanno già annunciato centinaia di emendamenti in Aula), promette di essere una resa dei conti interna.
L’iter parlamentare è stato estenuante: il provvedimento era stato approvato dal Consiglio dei ministri a novembre del 2023 e dalla Camera in prima lettura il 18 settembre del 2024. Inconcepibile, quindi, per la Lega l’idea di qualche passo indietro. Il ddl deve ancora essere calendarizzato ma nei corridoi del Senato si parla di un probabile approdo nella seconda settimana di aprile. Poco dopo il congresso della Lega del 5 e 6.
Protagonista dell’alt a una mediazione con gli alleati sul testo era stato il sottosegretario all’Interno, il leghista Nicola Molteni. Il ministro per i Rapporti con il parlamento, il meloniano Luca Ciriani aveva infatti aperto a «qualche ultimo intervento in aula, piccoli interventi di natura chirurgica».
Ritocchi che riguarderebbero le detenute madri, l’introduzione del reato di resistenza passiva in carcere e il divieto di acquisto di una sim a chi non ha il permesso di soggiorno: tre punti sui quali il Quirinale avrebbe fatto una moral suasion.
FdI e Forza Italia si erano mostrati possibilisti. Molteni ai cronisti non ha lasciato dubbi sulla visione del suo partito: occorre ora «accelerare e non frenare». A chi gli ricordava che palazzo Chigi aveva aperto su alcune norme come le madri detenute, ha risposto «è una norma sacrosanta che vogliamo tutelare. Affronta il tema delle borseggiatrici».
Orizzonte autonomia
Nessuna mediazione con gli alleati su temi vitali per l’elettorato leghista. Così il racconto della destra “coesa” sulle grandi riforme si è smarrito. Venerdì 28 marzo proprio Molteni affronterà la questione del ddl Sicurezza con una tavola rotonda organizzata dalla Lega Marche. Sabato a Padova la Lega nazionale parlerà di autonomia: presenti Calderoli e Salvini insieme al segretario della Liga Veneta e vicesegretario federale, Alberto Stefani e ai i governatori leghisti Luca Zaia (Veneto), Massimiliano Fedriga (Friuli-Venezia Giulia), Attilio Fontana (Lombardia) e Maurizio Fugatti (Provincia Autonoma di Trento).
Per la Lega è questa «la madre di tutte le riforme», il premierato non viene neanche preso in considerazione: accantonato dopo essere stato calendarizzato alla Camera dopo la prima lettura al Senato (in tutto ci vogliono 4 passaggi). Lasciato in coda ai lavori in commissione Affari costituzionali (priorità alla della Corte dei conti, al decreto Pubblica amministrazione).
Intanto di fronte all’uscita di Calderoli, Fratelli d’Italia non trattiene l’irritazione. «Non condivido il tono usato» dice il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Alberto Balboni «legittimo premere per completare l’autonomia differenziata. Mostrare i muscoli però è l'esatto contrario di ciò che serve adesso, ora servono armonia e concertazione sia nella maggioranza che nel governo».
All’indifferenza leghista sul premierato si aggiunge la battaglia dell’opposizione. «Quella di Meloni è pura propaganda social», spiega a Domani Riccardo Magi, segretario di +Europa «La riforma è ferma dopo un ciclo di audizioni impietoso: non c’è stata nessuna voce che abbia detto che questa riforma costituzionale possa reggere in piedi. Per Federico Fornaro, deputato Pd: «Il rischio reale è quello di far scivolare il nostro paese nel novero delle democrazie illiberali come l’Ungheria di Viktor Orbán. Rimane inoltre irrisolta la questione del voto degli italiani all’estero».
Tra guerre intestine e manovre sotterranee; Meloni lontano dalle telecamere si dice già «oltre il limite». E bisogna ricordare le sue parole nella conferenza di inizio anno: «Se il premierato non dovesse arrivare in tempo ci si interrogherà̀ sull’attuale legge elettorale». In effetti di riforma elettorale se ne discute da un po’, il tavolo della maggioranza si è già unito quattro volte. Un’ipotesi che fa pensare al voto anticipato: perché nessun equilibrio politico resiste dopo averla cambiata. Neanche la maggioranza più «coesa».
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