«La situazione umanitaria è ingiustificabile». La leader, però, non vuole rompere con Bibi. Il leghista assente: preferisce il tennis. Poi corre dal romeno Simion, alleato di FdI in Ue
Alcuni avversari si vedono, altri lo sono proprio perché non sono presenti. É quello che deve aver pensato Giorgia Meloni, alla Camera per il question time, mentre si difendeva dagli attacchi delle opposizioni per il suo silenzio sulla situazione israeliana e per lo stato della sanità. Elly Schlein, Angelo Bonelli, Maria Elena Boschi e Giuseppe Conte almeno erano lì davanti a lei. Il suo vicepremier Matteo Salvini, invece, era comodamente seduto sulle poltroncine del Foro Italico a godersi il match tra Carlos Alcaraz e Jack Draper valido per la semifinale degli Internazionali di tennis. La foto del leader leghista in camicia sbottonata e maniche arrotolate, seduto vicino al presidente della Federtennis Angelo Binaghi, è subito rimbalzata sul web.
Quando ormai la diserzione da Montecitorio è stata conclamata, ci ha pensato la comunicazione leghista ad affondare il colpo: ha pubblicato una foto di Salvini, abbottonato il colletto e infilata una giacca beige, a palazzo Brancaccio per un evento organizzato alla comunità romena in Italia con George Simon, leader di AUR e candidato alle presidenziali. Incidentalmente anche alleato di Meloni in Europa.
«Sono giornate complicate in Italia, ma era importante incontrarvi perché quello che hanno fatto contro il popolo romeno e contro la democrazia è una vergogna», ha detto Salvini che però la giornata complicata in parlamento ha scelto di saltarla. L’ennesimo sgarbo a Meloni che a Montecitorio si è trovata senza entrambi i vicepremier: uno a guardare il tennis, l'altro – Antonio Tajani – in missione ad Antalya, Turchia, per prendere parte alla riunione informale dei Ministri degli Esteri della NATO.
Dall’emiciclo la premier ha attaccato come sempre, schiacciando sugli assist alzati dalla sua maggioranza per magnificare i risultati del governo in materia di politiche e disagio giovanile («rivendico il decreto Caivano» ma anche «istituirò un gruppo di lavoro e voglio chiedere a tutti i partiti di aiutarmi»), sanità pubblica e sicurezza, in cui ha ribadito l’importanza del dl Sicurezza, attaccando le opposizioni: «La libertà di manifestazione ci sarà sempre ma finché ci saremo noi al governo non ci sarà la libertà di insultare le forze dell’ordine».
Eppure a Montecitorio le opposizioni e in particolare Avs sono riuscite a stanarla come non era loro riuscito nell’analogo question time di una settimana fa al Senato. Il verde Angelo Bonelli, infatti, ha proposto una interrogazione sulle ragioni del silenzio del governo su Gaza, costringendo per la prima volta la premier a dare la sua posizione sul conflitto israelo-palestinese.
Il conflitto in Israele
«Non abbiamo difficoltà a dire che a Gaza la situazione umanitaria è sempre più ingiustificabile», ha detto Meloni, è già questo è più di quanto la sua prudentissima posizione internazionale fino ad oggi le abbia consentito. Tuttavia «è pericoloso assecondare i terroristi», ha aggiunto riferendosi ad Hamas, che «non deve avere futuro nella Striscia». Altra presa di distanze rispetto a Benjamin Netanyahu, Meloni ha aggiunto che «non condividiamo le recenti proposte del governo israeliano e non abbiamo mancato di dirlo ai nostri interlocutori, consapevoli come siamo però che non è stata Israele a iniziare le ostilità e che c'era un disegno, come ho detto varie volte, alla base dei disumani attacchi di Hamas, della crudeltà rivolta contro gli ostaggi», è stata la riflessione e il ricordo della strage del 7 ottobre.
Tuttavia, nel rivendicare che «il governo è stato in prima fila sul piano diplomatico e umanitario», Meloni ha pesato bene le parole: «In questi mesi ho sentito più volte il primo ministro israeliano» Netanyahu, con cui «ci sono state conversazioni anche difficili in cui ho sempre richiamato l'urgenza di trovare una strada per terminare le ostilità e rispettare il diritto internazionale umanitario».. L’Italia continuerà ad impegnarsi «per una cessazione permanente delle ostilità», ma «non richiamerà il suo ambasciatore da Israele» come invece hanno chiesto le opposizioni, perché bisogna «mantenere con tutti un dialogo aperto e se necessario anche critico».
Molte più parole di quelle fino ad oggi ascoltate. E Conte, colto il fianco debole, ne ha ripreso il filo nella sua replica all’interrogazione sul riarmo, chiedendole di alzarsi in piedi per condannare «lo sterminio». Le opposizioni si sono alzate, Meloni e la maggioranza sono rimaste sedute.
Tra un attacco a «Giuseppi» e un «non è vero» detto al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, seduto a suo fianco durante l’intervento di Elly Schlein, che la ha accusata della crisi del sistema sanitario nazionale, Meloni ha proseguito con la sua narrazione del paese. «Meloniland», l’ha chiamata Maria Elena Boschi. Il bilancio finale è quello di un feeling sempre più evidente con Azione di Carlo Calenda e della voglia di rivendicare soprattutto i successi in ambito economico: su Green deal ed energia «la Commissione ha avviato diversi correttivi con un approccio più pragmatico che l'Italia ha contribuito a imporre», e «con lo spread sotto i cento punti, i titoli di stato italiani vengono considerati più sicuri di quelli tedeschi». E pace se, con quest’ultima affermazione, abbia confuso lo spread con il rating.
Dal Senato Meloni è uscita applaudita dalla sua maggioranza, ma con la consapevolezza che, se vuole tenerla unita, almeno una delle due assenze a suo fianco è un problema ormai sempre più evidente.
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