Non è un’attesa spasmodica quella per il risultato elettorale. Ma i leader politici stanno comunque lanciando più di qualche occhiata a Genova, il voto più atteso di questa tornata di amministrative.

Le urne chiudono alle 15 di oggi e sono un perfetto trailer per le prossime elezioni, che avranno un peso decisamente maggiori: le regionali, l’ultima curva prima della volata verso le politiche.

A Genova Giorgia Meloni ci ha messo la faccia, non la presenza, con un videomessaggio. Il centrodestra ha puntato sulla continuità del modello-Bucci, finora vincente in Liguria, con Pietro Piciocchi. L’appoggio della premier è totale, ma senza esagerare. Non si sa mai in caso di risultato negativo.

Di mezzo ci sono tutti i guai internazionali e i litigi interni, che mettono Genova in calce ai pensieri della leader di Fratelli d’Italia. I continui ripensamenti sui dazi del presidente statunitense, Donald Trump, rendono gli sforzi meloniani una fatica di Sisifo.

Tanto impegno per costruire la narrazione della “pontiera” tra Washington e Bruxelles, poi i fatti svelano l’inconsistenza di palazzo Chigi. I dazi al 50 per cento per l’Unione europea sarebbero un disastro per l’industria italiana e soprattutto uno smacco mediatico pesantissimo per il governo.

La segretaria del Pd, Elly Schlein, ha annusato l’aria e ha già punzecchiato: «La timidezza di Meloni verso Trump danneggia le imprese e i lavoratori italiani». I 5 Stelle hanno caricato: «Meloni ha svenduto l'Italia agli Stati Uniti garantendo acquisto di gas più caro, quindi bollette più care per gli italiani, e più miliardi in armi», ha incalzato la vicepresidente del Movimento, Chiara Appendino.

Destra nervosa

Come se non bastasse il quadro internazionale, il dibattito intorno a Trump alimenta il nervosismo nell’alleanza di centrodestra. Matteo Salvini insiste nella difesa a spada tratta del tycoon, usandolo come grimaldello per scardinare l’europeismo governativo. La colpa è dell’Ue, nella visione del leader leghista, alla ricerca di un rilancio che stenta ad arrivare.

Sull’altro fronte c’è Forza Italia, che sul punto ha una linea chiara, dettata da Marina Berlusconi in prima persona: il comportamento di Trump «fa vacillare i valori occidentali», ha detto già nelle scorse settimane. L’inquilino della Casa Bianca non è visto come il miglior amico, a dispetto dell’accreditamento di Meloni come interlocutrice privilegiata. Il segretario del partito Antonio Tajani non può avere tentennamenti sulla posizione pro-Ue e non Trump-entusiasta.

Così dagli Usa, passando per Bruxelles e per le fibrillazioni a palazzo Chigi, si torna a Genova. Meloni sotto vuole allontanare i cattivi pensieri con una vittoria, che fa sempre bene in politica. Il centrosinistra, invece, deve tentare di smontare l’immagine dell’alternativa che non c’è, la polizza vita sulla permanenza di Meloni a alla guida dell’esecutivo.

Sotto la Lanterna è riuscito il mezzo miracolo della ricomposizione del campo largo, grazie al jolly civico di Silvia Salis, l’ex vicepresidente del Coni prestata alla politica.

La riconquista di una delle vecchie roccaforti sarebbe un segnale – ancora più potente in caso di affermazione al primo turno – per il centrosinistra. E soprattutto sarebbe un boost alla leadership di Schlein. La segretaria del Pd ha sempre voluto silenziare i mugugni interni al partito – come il posizionamento internazionale – con i risultati elettorali.

C’è poi il puzzle di Taranto, seconda città per importanza di queste amministrative, per l’impatto simbolico della presenza dell’ex Ilva. Ma il tetris di alleanza è ben lontano dallo schema nazionale: centrosinistra e centrodestra sono spaccati.

Si capirà qualcosa di più al quasi inevitabile ballottaggio l’8-9 giugno. Anche perché sempre è meglio conquistare un’amministrazione, che perderla.

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