Dieci giorni abbondanti, e Friedrich Merz non ha ancora compiuto passi falsi. Il cristianodemocratico sembra essersi mosso nel migliore dei modi. Quantomeno in politica estera: dopo un inizio in ripida salita al Bundestag, sembra aver trovato un buon equilibrio in politica estera. E pazienza se la Welt ha rivelato una scelta – poi smentita da ministero degli Esteri e governo intero – che ha gettato una luce livida sull’incontro di ieri tra Giorgia Meloni e il neocancelliere. L’Italia in discesa nella classifica dei partner prioritari per Berlino, una prospettiva che a palazzo Chigi non vogliono sentir raccontare, suggerendo invece una lettura che vede Merz e Meloni appaiati sulle questioni più importanti, su tutte migranti e dazi.

La bromance con Emmanuel Macron, insomma, è solo una facciata. A rafforzare a più riprese il concetto che l’Italia è al centro dei pensieri del nuovo governo tanto che è intenzione dei due esecutivi rafforzare il Piano d’azione firmato a novembre 2023 anche sul piano dell’immigrazione è però il cancelliere in persona, impegnato a tenere aperti anche i canali diplomatici con Roma oltre che quelli privilegiati con Parigi.

Ma oltre alla benedizione del modello Albania, Meloni incassa anche il riconoscimento di un rapporto privilegiato con Donald Trump da parte di Merz, che si accinge a sua volta a volare a Washington.

Con l’intesa più solida con l’Italia, Merz rafforza l’immagine di Bundesaussenkanzler, cancelliere della politica estera, che la stampa tedesca gli ha già affibbiato. Anche i detrattori del cancelliere cristianodemocratico nella prima settimana del suo mandato non sono riusciti a individuare grandi scivoloni. Netto nelle parole, giusto nelle posizioni.

Merz ha abbracciato con grande entusiasmo il formato Weimar+, su cui ha iniziato a lavorare il giorno successivo della sua conferma al Bundestag. Parigi e Varsavia al centro, ma poi anche il Regno Unito. Uniti al fianco di Volodymyr Zelensky come è accaduto venerdì a Tirana quando i leader sono tornati a telefonare a Donald Trump. Di quella compagine non faceva parte Giorgia Meloni, che ieri dichiarava in conferenza stampa dopo il bilaterale con Merz di essere stata sempre «disponibile» a prendere parte a «qualsiasi formato» e che sarebbe il caso di «mettere da parte i personalismi». Una stoccata a Macron neanche troppo nascosta.

Linea estera

Dopo il suo primo viaggio a Parigi e Varsavia, Merz si è anche precipitato a Kiev per la giornata dell’Europa: del suo posizionamento a supporto dell’Ucraina non c’era dubbio già in campagna elettorale, quando provocava il suo avversario (ora alleato) Olaf Scholz sulla fornitura di missili Taurus. Oggi di quell’argomento non si parla più – «Non discuto apertamente le nostre forniture all’Ucraina» è la risposta ricorrente che offre il neocancelliere a chi gli chiede se manterrà la sua promessa – ma a Merz, a differenza del suo predecessore, non manca la chiarezza nella comunicazione sulla linea in termini di politica estera.

Il suo ministro degli Esteri, Johann Wadephul, è arrivato a minacciare apertamente nuove sanzioni a Vladimir Putin qualora non ci siano a breve passi avanti tangibili sulle trattative per la pace. Un tono decisamente nuovo, che segna un cambio di passo nella politica estera di Berlino, funestata ai tempi del Semaforo da frequenti dissensi (anche pubblici) tra cancelleria e ministero. Non è un caso che Wadephul e Merz sottolineino regolarmente che offriranno «Aussenpolitik aus dem selben Guss», «politica estera dallo stesso getto». Anche in questo caso Merz è intervenuto a calcare la mano: «Aumenteremo la pressione su Putin» ha detto in conferenza stampa, annunciando il diciassettesimo pacchetto di sanzioni che sarà deciso martedì a Bruxelles.

Anche sulla difesa, non ha esitato a mettere a sistema l’industria francese e quella tedesca. In termini economici, ha recapitato a Bruxelles un messaggio chiaro sull’opportunità di essere più flessibili in termini di regole di bilancio (in nessuna occasione, se non per le spese della difesa). Intervento diretto anche sulle questioni interne.

Pur non essendo per ora d’accordo con la possibilità di sostenere un divieto del partito dopo le rivelazioni dei servizi segreti sull’estremismo di AfD, Merz sa bene di avere il fiato di Alice Weidel sul collo: i sondaggi danno 1-2 punti percentuali di differenza tra la sua Union e l’estrema destra. Sul finire della trattativa per la stesura del contratto di governo erano appaiati e la sua complicata elezione in parlamento non è certo dispiaciuta a Weidel. Per convincere gli elettori che anche in termini di politica interna la Cdu sa fare la destra securitaria (e i tempi dell’apertura delle frontiere ai profughi siriani dell’èra Merkel sono definitivamente tramontati), Merz ha dato indicazione ai suoi di spingere anche su quel versante.

A occuparsene c’è Alexander Dobrindt della Csu, la cugina bavarese più conservatrice della Cdu. Oltre a smantellare il Regno di Germania, la cellula di cittadini del Reich che voleva Nella prima settimana di mandato ha aumentato i respingimenti alla frontiera del 45 per cento. Non poco – anche se AfD continua a chiedere di più – e sicuramente abbastanza per preoccupare i partner che condividono la frontiera, timorosi di dover accogliere tutti i migranti che sui loro territori sono solo di passaggio perché il loro obiettivo finale è la Germania. A temere sono soprattutto Svizzera e Polonia, ma per mantenere il buon rapporto che ha appena finito di istaurare con Donald Tusk, Merz ha già offerto di assistere le forze dell’ordine polacche nel presidio dei confini esterni del paese.

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