Lo scenario di politica internazionale è sempre più complesso e, mentre Giorgia Meloni sta lentamente scegliendo l’Unione europea, Matteo Salvini preferisce accodarsi alle bizze di Donald Trump e strizzare l’occhio a Valdimir Putin.

La premier è ancora impegnata nel G7 in Canada, orfano del membro più pesante – gli Stati Uniti – dopo l’improvviso addio del presidente americano.In questa sede, Meloni ha trovato una sinergia sempre più forte con i leader progressisti tedesco e inglese, Friedrich Merz e Keir Starmer. Messe da parte le antipatie personali, anche con il francese Emmanuel Macron il feeling appare ritornato. Un avvicinamento che prescinde dalle famiglie politiche d’appartenenza e poggia su alcuni punti nuovi.

Il primo: la proposta di una iniziativa comune per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, di cui Meloni si è incaricata di farsi portavoce anche con Trump. La convinzione italiana, infatti, è che l’apertura del fronte iraniano impegni Benjamin Netanyahu al punto da poter tentare ora la mediazione in favore dei civili gazawi.

Il secondo: un negoziato con l’Iran in questi giorni sotto attacco, riaprendo il dialogo e tentando di condurre la Casa Bianca a più miti consigli, dopo l’annuncio di «evacuare Teheran» lanciato dal presidente repubblicano.

Tuttavia, anche nell’ottica di una svolta favorevole in materia di dazi e in vista del vertice Nato di fine mese, la posizione di Meloni appare sempre più orientata a trovare convergenza con gli altri leader europei.

Il contro canto di Salvini

Tutt’altra, invece, è la linea di Matteo Salvini. L’alleato principale di Meloni, infatti, non rinuncia nemmeno in politica estera a fare il contro canto. Il segretario leghista ha scelto di schiacciarsi in modo netto sulle posizioni di Trump, anche fino a dove la premier non intente spingersi. «Non ho gli elementi del presidente Trump per smentire il fatto che Putin non sia il mediatore perfetto» tra Israele e l’Iran, è stato il commento immediatamente dopo le dichiarazioni del presidente americano. Un’apertura verso la Russia che, del resto, non suona nuova in bocca al leader leghista.

In quest’ottica Salvini legge anche il conflitto in Ucraina, sul quale continua a ripetere la sua contrarietà a ulteriori invii di armi: Putin potrebbe mediare con Israele solo se il conflitto con Kiev si fermasse. Quanto alla carneficina a Gaza, Salvini è il leader italiano più schierato con Israele, senza mai condannare apertamente raid. Anche ora ha giustificato l’attacco a Teheran, paragonando il regime islamico ai nazisti: «Il diritto all'esistenza e alla sopravvivenza di Israele è sacrosanto, e l'Iran lo ha sempre messo in discussione».

La sua appare un’agenda parallela e confliggente con quella della premier, anche su fronti non bellici come il rapporto con la Cina. Dopo l’interruzione dei rapporti commerciali della cosiddetta Nuova Via della Seta sottoscritti dal governo giallo-verde, Meloni sta pazientemente riallacciando i rapporti con Pechino: mesi di lavoro e diplomazia, che proseguiranno con un viaggio in Cina a inizio luglio. Anche per questo non è passato inosservato il post di Salvini, il 4 giugno, a ricordo del trentaseiesimo anniversario della strage di piazza Tienammen. L’ennesimo segnale di un conflitto geopolitico ancora inesploso, quello della premier con il suo vice, che però appare sempre più evidente.

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