La premier è preoccupata dai distinguo dell’alleato, ma è pronta a fare delle concessioni. L’idea del riarmo “made in Italy” e l’ipotesi di una risoluzione minimal per evitare spaccature
Leggermente spazientita dall’indisciplina dell’alleato Matteo Salvini, Giorgia Meloni ha pensato alla fine di richiamarlo all’ordine. Ha telefonato personalmente al capo leghista, ascoltato richieste e giustificazioni, poi ha deciso che sì, avrebbe fatto un passo di lato ma non indietro.
Con questo spirito la presidente del Consiglio martedì 18 marzo affronterà al Senato (mercoledì alla Camera) il delicato passaggio delle comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 20 e del 21 marzo.
Il problema principale è quello di arrivare a una risoluzione di maggioranza che soddisfi anche il leader della Lega che, da mesi, sfrutta ogni occasione per affermare l’esatto opposto di quello che dichiara la presidente del Consiglio: schierato «senza se e senza ma» con Donald Trump sull’Ucraina e nettamente contrario al piano ReArm Europe, senza risparmiare attacchi diretti alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
Tranquillità meloniana
Un lavoro non facile, confessano da via della Scrofa un gruppo di indispettiti meloniani. Un’operazione di mediazione e ascolto portata avanti dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari, dal capodelegazione al parlamento europeo, Carlo Fidanza, e dai capigruppo Lucio Malan e Galeazzo Bignami.
Quest’ultimo ai cronisti ostenta un sorriso di circostanza: «La maggioranza è d’accordo. Ci sono in Europa posizioni non collimanti perché apparteniamo a famiglie europee diverse, ma in Aula presenteremo una risoluzione unitaria». E poi butta la palla nell’altra metà campo: «Non so se le opposizioni riusciranno mai a fare lo stesso».
Ma in realtà è dalla parte del governo cha bisogna guardare. Ridotta la questione all’osso: quando si chiede qualcosa bisogna avere qualcos'altro da dare in cambio. Ma cosa? «Lo vedremo in Aula» risponde Bignami: «Grazie al centrodestra l'Italia ha una politica estera coerente che ha reso il nostro paese orgoglioso». Sopire è l’ordine di scuderia di Fratelli d’Italia: «Trattative sul discorso e sulla risoluzione?» Ci pensa su il ministro per gli Affari europei, Tommaso Foti, prima di rispondere anche lui sorridendo: «Non mi pare, non c'è bisogno di convincere nessuno».
La posizione leghista
Le ipotesi sul tavolo restano due. Prima ipotesi: un documento che non entri nel dettaglio di programmi e iniziative come quella dei “volenterosi”, ossia quel blocco di paesi capitanati da Regno Unito e Francia che, tra le altre cose, ha proposto di inviare truppe di peacekeeping in Ucraina, qualora si raggiungesse un accordo con la Russia per fermare le ostilità. Troppo divisivo per il centrodestra.
L’extrema ratio è quella di una risoluzione minimalista: «Sentite le comunicazioni, si approva...». Le stesse fonti parlamentari della Lega escludono incidenti di percorso ed escludono anche l’ipotesi, circolata su alcuni organi di stampa e ventilata con scarsa convinzione dal capogruppo della Lega in Senato Massimiliano Romeo a RadioRai1, che i parlamentari del partito di Salvini possano essere tentati dalla risoluzione pacifista del M5s. Difficile che il governo dia parere positivo con qualche modifica, quindi «voteremo solo le risoluzioni che avranno il parere favorevole del governo», assicura un senatore.
Tra riarmo e Trump
La seconda ipotesi riprende «L’orgoglio italiano», nominato da Bignami. Un ReArm “sovranista”, come lo definiscono i leghisti, qualcosa che incontrerebbe le richieste avanzate da Salvini. «Prima di riarmare l’Europa, riarmo l’Italia, l’esercito e la marina italiana, i carabinieri e l’aviazione, facendo lavorare aziende italiane, non voglio arricchire altri paesi», aveva detto nei giorni scorsi il segretario leghista.
Quindi se ci deve essere un aumento di acquisti di armi, è la richiesta, avverrà comunque entro i limiti degli obiettivi Nato. Ma soprattutto gli acquisti dovranno essere da aziende italiane e dovranno pesare il meno possibile sul debito pubblico. Posizione già sostenuta da Giancarlo Giorgetti «coinvolgendo il più possibile i privati».
In sintesi: aggiornamento dei sistemi di difesa, attraverso un piano di investimenti gestito dall’esecutivo, riarmo nazionale, quindi orgogliosamente italiano e non europeo. Qualcosa che potrebbe anche incontrare il favore di una parte dell’opposizione, come Azione di Carlo Calenda.
A questa ipotesi ha fatto eco recentemente anche Paolo Borchia, capodelegazione Lega al parlamento europeo, coordinatore Patriots in commissione Itre: «Con il piano di riarmo voluto da von der Leyen, sarebbe tutto a carico dei contribuenti europei. Davvero qualcuno in Italia vorrebbe pagare i carri armati tedeschi con le proprie tasse?». Meglio puntare sul made in Italy, dunque.
Altro punto: il dialogo aperto con l’America di Trump, perché in questo momento «il maggiore riferimento Nato nel Mediterraneo è la Turchia». Proprio su questo proseguono (pur tra le smentite di rito) i contatti tra palazzo Chigi e la Casa Bianca, con protagonista l'ambasciatrice in Usa Mariangela Zappia, per fissare in tempi stretti un incontro tra il presidente americano e Meloni. Al momento, però, una data non è stata ancora fissata.
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