Tutt’altro che preoccupata, anzi sotto sotto un po’ compiaciuta. Giorgia Meloni in queste ore viene raccontata come concentrata sulle amministrative e comunque su tutt’altro rispetto ai movimenti confusi degli alleati della destra di governo. Ieri per esempio dai social prima ha reso onore all’Arma dei Carabinieri con toni un po’ vintage – «nei secoli fedele», certi amori non muoiono mai – e poi a Seid, il giovanissimo calciatore di origine etiope suicida a Nocera Umbra. Cose serie, quest’ultima senz’altro. E invece le nozze fra Lega e Forza Italia sembrano brutte notizie, ma in realtà non lo sono. La proposta di Matteo Salvini a Silvio Berlusconi è evidentemente un modo per scippare la leadership del centrodestra a quella che appare come la predestinata a raccoglierla, prima donna a guidare una coalizione nazionale, roba lunare nel centrosinistra. Il leghista calcola che con l’«annessione» degli azzurri – così chiamano l’operazione i forzisti liberal, contrari – il nuovo “Pdl” potrebbe lievitare verso il 30 per cento (21 della Lega più 6-7 di Forza Italia). Anche se non è detto, in politica due più due a volte ha fatto meno di quattro. In ogni caso questo la sorella d’Italia non è impensierita: ieri un nuovo sondaggio di Tecné la dava come seconda leader più apprezzata del paese al 42,8 per cento, vette da capogiro mai raggiunte da una leader proveniente dalla destra radicale, dietro solo a Mario Draghi (al 58 per cento), Salvini al quarto posto staccato di più di dieci punti (al 32,1). Ma non è numerica la ragione per cui ieri in FdI nessuno si è scomposto. La destra ha già conosciuto le convincenti proposte di fusione con il Cavaliere, quelle a cui nel 2006 Gianfranco Fini leader di An resistette replicando «siamo alle comiche finali», tranne doversi arrendere per l’irresistibile discesa dei consensi. Nel 2007 nacque il Popolo della libertà, all’esordio elettorale l’anno successivo il più votato – oltre il 37 per cento dei consensi – poi di nuovo tutti divisi nel 2013, Forza Italia partecipa al primo governo delle larghe intese, presieduto da Enrico Letta. Lunga storia, comunque a Meloni l’idea del «partitone frullato» non è mai piaciuto.

Solo tattica

Ma i motivi per non preoccuparsi delle mosse di Salvini sono diversi e convergenti. Il primo è la convinzione che si tratta di una mossa tutta tattica e finirà per far risaltare ancora di più la coerenza di Meloni. «Non siamo contrari all’idea in sé di una federazione del centrodestra, che Giorgia Meloni aveva proposto prima della nascita del governo Draghi. Ma ora, mentre Lega e Forza Italia stanno al governo e noi all’opposizione, l’ipotesi sarebbe ardimentosa», scherza il vicepresidente della camera Fabio Rampelli. Dietro lo scherzo c’è un ragionamento serio. L’unione dei due alleati della destra di governo «è un modo per dare una prospettiva in più alla Lega, riportare il partito verso una collocazione che originariamente aveva e che Salvini aveva spostato più a destra», spiega Guido Crosetto, uno dei fondatori del partito, oggi ex dirigente, «una specie di ritorno alle origini». Che chiude l’era della competizione a destra, consegnando tutto lo spazio a Meloni. Del resto era l’esito voluto e cercato dell’ingresso nella maggioranza di Draghi, anche se è difficile, spiega ancora Crosetto, che a interpretare la leadership della Lega non più radicale sia ancora Salvini, «molto connotato».

D’altro canto questo non significa che FdI ritornerebbe alle origini nere di partito antisistema post Msi: «Il profilo di Meloni è quello di una leader di destra di governo. Il tentativo di confinarci nel ruolo di una “destra radicale” fatto da molti commentatori alla nascita del governo Draghi è fallito e non riuscirà più, qualsiasi cosa accada nel resto della coalizione», avverte l’eurodeputato Carlo Fidanza. La partita politica per FdI ora è semmai un altra. Con le riaperture, la ripartenza del paese, le previsioni di crescita piuttosto positive, crolleranno le quotazioni dell’opposizione. E la divisione fra aperturisti e frenatori non avrà più senso. Meloni dovrà reinventarsi un senso alla propria collocazione, forse non più così anti Draghi. Lo si è già visto dal grande rilievo che hanno dato i suoi profili social all’incontro con il premier a palazzo Chigi giovedì scorso, e il suo inedito elogio dell’ex presidente della Bce.

Lo scacchiere europeo

La partita in Europa racconta intanto un pezzo del paradosso del centrodestra. La situazione bruxellese fin qui è stata rovesciata rispetto a quella nazionale: in Europa Meloni è la presidente dei conservatori, mentre Salvini fin qui ha tentato di fare un gruppone sovranista, senza successo. A Roma Salvini invece si mangia Forza Italia e tenta di riposizionare la Lega al centro. Ma in realtà il leghista ora potrebbe puntare al Ppe come approdo finale anche in Europa, per tentare di ripulire l’immagine dalle ingombranti scorie sovraniste e presentarsi come potabile premier, in caso di vittoria alle politiche. Lo fa capire Antonio Tajani, coordinatore di Forza Italia, ala filoleghista, uomo chiave della fusione, e capo del cordone sanitario che ormai tiene sotto tutela Berlusconi. «Noi facciamo parte del Ppe, la Lega. E quindi, livello comunitario, non si può fare un gruppo unico», dice al quotidiano Libero. «Altro tema e se Salvini decidesse di avviare un percorso di avvicinamento al Ppe. Noi potremmo agevolare questo cammino. Ma la Lega non ce l’ha mai chiesto».

Forza Italia è in pieno terremoto. A metà settimana i gruppi si riuniranno per continuare la discussione iniziata, a male parole, venerdì scorso da remoto. Il clima è pesantissimo. Il governo è al riparo: se la fusione dovesse andare avanti, i tre ministri, tutti e tre liberal – Carfagna, Brunetta, Gelmini – sarebbero comunque più fedeli a Draghi che agli esperimenti di Salvini. C’è chi dà Berlusconi per sempre più malato, insofferente alla politica e desideroso di «sistemare» il suo cerchio magico e chiudere la partita. Anche se ieri circolava notizia di un ripensamento. C’è infatti chi invita a rallentare le fantasie di partito unico. Come il liberalforzista Andrea Cangini: «Sono solo esagerazioni di inizio estate. Escludo che Berlusconi voglia consegnare Salvini le chiavi di casa e l’album di famiglia di una ormai trentennale storia liberale».

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