Il falco Brunner incontra la premier: «Siamo d’accordo su tutto». Salvini a Marina Berlusconi: «Altro che bullo, al tycoon va dato il Nobel»
Una decisa stretta di mano con il commissario per gli affari interni e l’immigrazione Magnus Brunner e Giorgia Meloni è riuscita nell’intento di ottenere una sponda europea nel settore che più le sta a cuore: rimpatri e centri in Albania.
All’indomani della giornata di tensione a Parigi con il vertice informale sull’Ucraina, la premier è decisa a riprendere il filo della questione migratoria, premendo il più possibile sulla commissione europea in vista della decisione della Corte di giustizia dell’Ue sui paesi sicuri. Ieri a Roma ha incontrato Brunner, membro del Ppe ma proveniente dalla destra conservatrice austriaca con Vienna tra i governi più rigidi in materia di libertà di circolazione e fautrice del blocco dell'integrazione di Romania e Bulgaria nell'area Schengen.
Il summit è stato preceduto da grandi aperture del commissario, che nei giorni scorsi aveva parlato di sostegno all’Italia nel protocollo con Tirana, sostenendo che «dobbiamo trovare modi efficaci per rimpatriare le persone che non hanno bisogno di protezione» e «alcuni dei quadri giuridici sono diventati obsoleti» dunque «hanno bisogno di un aggiornamento». Parole forti, soprattutto visto che a settimane è attesa la decisione della Corte di Giustizia, e che ieri sono state integrate da impegni ben precisi. Brunner ha sostenuto che il Patto sulla migrazione e l'asilo «è un'ottima base» ma «non è abbastanza» e nelle prossime settimane verrà presentata «una nuova normativa sui rimpatri» che lui considera l’anello mancante del Patto. Una boccata di sollievo per Meloni, ancora in attesa del pronunciamento dei giudici sulla base delle attuali regole.
L’Italia degli accordi con l’Albania è «un partner molto importante» e «siamo allineati su tutti gli argomenti di cui abbiamo discusso», ha detto Brunner riferendosi a Meloni, ma anche ai colloqui laterali con il ministro degli Esteri Antonio Tajani e degli Interni Matteo Piantedosi. E al tavolo si è parlato anche dell’interpretazione italiana del concetto di Paesi sicuri, che permetterebbe la funzionalità dei centri albanesi: «Abbiamo esplorato nuove idee per la gestione delle migrazioni», è stata la sintesi che Meloni ha lasciato fare al commissario Ue.
Insomma, la sponda nel falco austriaco, che ha fatto capire di voler accelerare sul tema, dovrebbe far fare un passo in avanti alla linea meloniana dei rimpatri, togliendola dall’isolamento in cui la premier è stata costretta con lo stop all’iniziativa dei cpr fuori dai confini nazionali. «Occorre lavorare su nuovi partenariati con Paesi di origine e transito dei flussi migratori, in particolare nel continente africano», ha aggiunto il ministro Tajani, anche lui reduce dall’incontro con Brunner.
Il risultato, dunque, è un fronte di concordia con l’Unione europea. Un segnale importante, che tuttavia evidenzia come Meloni non possa in questo momento permettersi di rompere con la Commissione von der Leyen: troppo rilevanti sono le questioni politiche aperte in cui il placet europeo è fondamentale per andare avanti con la politica del pugno di ferro sui migranti.
I problemi interni
Per questo Meloni ha spiegato ai suoi che intende rimanere ferma sulle sue posizioni: saldamente in Europa, ma sempre con la mano tesa all’America di Donald Trump, che rimane l’alleato principale da cui non intende prendere le distanze, come ha dimostrato al vertice parigino. Come sia possibile questo equilibrismo se davvero il presidente americano implementerà la politica dei dazi contro l’Europa, sarà tutto da vedere. Per ora, tuttavia, il nulla di fatto del summit organizzato da Emmanuel Macron ha permesso alla premier di guadagnare tempo.
Eppure, nuovi problemi interni si stanno affacciando anche dentro la sua coalizione. L’intervista di Marina Berlusconi, infatti, ha scosso il centrodestra: non solo nella parte che ha riguardato i diritti, ma soprattutto in quella in cui ha definito le mosse di Trump simili «ad atti di bullismo politico» con gli «alleati trattati come Paesi-satellite» per esempio sulla pace in Ucraina e il timore che il presidente ambisca a diventare «il rottamatore dell’Occidente».
Questa posizione è stata (almeno formalmente) condivisa da Forza Italia e in particolar modo dalla sua parte più liberale, infatti Tajani ha aggiunto che «l'Unione europea per forza deve essere parte della trattativa» sull’Ucraina. A ventiquattr’ore di distanza è arrivata la replica di Matteo Salvini, che ha preso platealmente le distanze dalla linea filo-europea della figlia del Cavaliere. «Se Trump riuscisse a riportare la Pace meriterebbe il premio Nobel, altro che “bullismo”», ha scritto su X, facendo eco anche al suo collega vicepremier: «Spero che non ci sia nessuno, men che meno nella nostra Europa, che si metta di mezzo se Putin e Zelensky, grazie a Trump troveranno un accordo». Ben venga il tycoon factotum e l’Ue si accomodi pure in tribuna, insomma.
Anche per questo Meloni ha la necessità di rimanere nel mezzo, pur mantenendo un silenzio inusuale: la strada è quella di incassare dove si può e dove si riesce, applicando una sorta di nuova politica dei due forni di andreottiana memoria, ma in salsa internazionale.
Intanto, le opposizioni tentano di stanarla o quantomeno di avere chiarimenti sulla linea del governo, chiamandola ad intervenire in aula. La richiesta è arrivata sia dalla segretaria dem Elly Schlein che dai Cinque Stelle: le questioni sono molte e non solo riguardo l’estero, dal caso Paragon alla corte penale internazionale. Per ora, tuttavia, la linea di Chigi è di non cedere a quelle che vengono considerate provocazioni.
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