Anche la seconda votazione prevista all’eurogruppo, dopo quella infruttuosa tenuta a maggio, sul nuovo direttore del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, è andata vuoto. Anzi questa volta il voto previsto il 16 giugno alla riunione del board del Mes a Lussemburgo non ha avuto proprio luogo.

I candidati in lizza per succedere al tedesco Klaus Regling alla guida dell’organismo intergovernativo come direttore generale restano l’italiano Marco Buti, oggi capo di gabinetto del commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni; l’ex ministro delle Finanze portoghese Joao Leao e l’attuale ministro delle Finanze del Lussemburgo, Pierre Gramegna, che praticamente gioca in casa visto che la sede del Mes è nel Granducato (e anche il nuovo edificio resterà in zona: la sede prescelta è un’area del granducato, l’altopiano di Kirchberg). Una nuova votazione dovrebbe tenersi al prossimo Eurogruppo in programma l’11 luglio a Bruxelles ma i paesi sono divisi sulla scelta.

Un Mes divisivo

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Il Mes è un organismo istituito nel 2012 in sostituzione dell’Efsf per volontà dell’ex ministro delle Finanze tedesco di Angela Merkel, Wolfgang Schäuble con trattato intergovernativo (non è dunque nei trattati europei) tra i paesi dell’Eurozona per dare assistenza ai paesi membri solvibili, ma che si trovino temporaneamente in crisi nel finanziarsi sul mercato.

Dopo la fine dell’èra della liquidità senza limiti e dei tassi negativi secondo i falchi la Bce non può continuare a comperare titoli di stato, e allora perché non pensare a un intervento del Mes? Ipotesi fortemente osteggiata in Italia dal M5s e dalla Lega, che ne fecero ai tempi del governo gialloverde e poi solo i Cinque stelle nel governo Conte II, una bandiera.

La Bce finora ha comprato titoli nei vari programmi di acquisto di bond, ma senza condizionalità. Oggi l’Eurotower è chiamata a evitare la frammentazione monetaria, cioè spread eccessivi tra gli stati appartenenti alla moneta unica.

Il Mes (Esm in inglese) invece prevede condizionalità per i suoi prestiti, ed è proprio questo aspetto che piace ai falchi del nord, come il ministro delle Finanze tedesco, il liberale Christian Lindner che non condivide le preoccupazioni che circolano in questi giorni sulla frammentazione dell’area euro in conseguenza delle decisioni Bce.

«L’Eurozona è stabile, l’unione monetaria ha una costituzione robusta, sono fiducioso che supereremo ogni situazione critica: naturalmente vediamo alcuni aumenti degli spread tra gli stati, ma non c’è bisogno di essere preoccupati, nervosi», ha indicato Lindner ai giornalisti in contrapposizione con le opinioni raccolte tra molti dei suoi colleghi dell’Eurogruppo, che hanno indicato il rischio di frammentazione dell’area euro.

Agire subito?

Lindner, a margine dell’eurogruppo a Lussemburgo, ha invitato a osservare gli spread in una prospettiva più lunga. In ogni caso, i governi devono agire adesso: Lindner ha indicato come indicazione finale mentre in Italia si discute di aiuti alle famiglie in seguito al conflitto in Ucraina che «occorre abbandonare il più velocemente possibile le politiche di bilancio espansive». Un segnale inquietante ed ecco perché diventa importante decidere chi sarà il direttore e soprattutto il ruolo del Mes.  

Non a caso il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, intervenendo a Milano al Forum di Analysis del 16 giugno, ha detto che «per l’Italia le nostre analisi indicano che un livello del differenziale tra i rendimenti dei titoli decennali di Italia e Germania inferiore a 150 punti base sarebbe giustificato dai fondamentali e comunque certamente non lo sarebbero livelli superiori ai 200 punti».

Insomma come a dire che dopo quella cifra bisognerebbe intervenire e che la chiusura degli spread è ormai entrata nel mandato della Bce, a differenza di quanto disse Christine Lagarde all’inizio del suo mandato.

Il punto, dunque, è capire chi vincerà la battaglia tra chi vuole un nuovo bazooka, uno “scudo anti spread”, magari rendendo flessibili le quote nazionali di acquisto dei titoli, e chi vuole far entrare in partita la liquidità del Mes che comprerebbe i bond al posto della Bce ma con le condizionalità sul debito, come è previsto ad esempio per le Omt (Outright Monetary Transactions) e per questo mai utilizzate.

I bond targati Ue

Va segnalato che Bruxelles nel tempo ha messo in campo una serie di ricorsi obbligazionari come i bond emessi dal Mes per tamponare la crisi dei debiti sovrani (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna, in questo caso solo a favore del settore bancario), poi con bond per il fondo Sure per finanziare la Cig durante la pandemia e successivamente con i bond per finanziare il Next Generation Eu per la transizione verde e digitale.

Ma l’Eurozona purtroppo non ha ancora nella sua cassetta degli attrezzi monetari bond analoghi ai Treasury Bond Usa, perché manca un ministero del Tesoro comune o un’agenzia del debito europeo. Insomma del Mes non ne voleva più sentire parlare nessuno, ma ora che lo spread è tornato come un incubo ad aleggiare sull’Italia potrebbe tornare d’attualità come un’eventualità e un tormentone infinito. Sebbene il Fondo salva-stati sia una banca di diritto lussemburghese esterna al perimetro delle istituzioni europee, o forse piace ai “falchi” proprio per questo.

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