Migranti, accordo Ue. Il governo: «Vince il modello Albania»

Un accordo politico che vuole aprire la strada a hub di rimpatrio extra Ue. Anche sul modello Albania: centri di rimpatrio in paesi terzi gestiti da stati membri, volendo più di uno. In più, luce verde per una nuova lista di paesi sicuri che include anche alcune delle nazionalità più presenti negli sbarchi sulle coste italiane, anche se quei paesi in realtà sono tutt’altro che democratici. Per altro, senza che eventuali ricorsi giudiziari interrompano automaticamente le pratiche – accelerate – di rimpatrio. Per Giorgia Meloni, rimasta fuori dall’appuntamento di Londra sull’Ucraina un po’ per esclusione da parte di Friedrich Merz, Keir Starmer ed Emmanuel Macron, un po’ per desiderio di mostrarsi comunque più vicina alla linea di Washington, l’accordo che esce dal Consiglio Ue dei ministri dell’Interno è una vittoria. O, quantomeno, la prova che in fatto di migrazione il vento tra i 27 tira ormai più nella direzione che predilige la presidente del Consiglio. Si sono dichiarati contrari Spagna, Grecia, Francia e Portogallo, la maggioranza qualificata è stata però raggiunta. Si tratta di qualcosa che era nell’aria, vista anche la proposta della Commissione sul tema, ma che dovrà essere ancora distillato in un testo che finirà poi in mano al parlamento europeo. Lì, maggioranze per approvare un accordo del genere si trovano, anche se potrebbero segnare uno spostamento definitivo dei popolari sulle priorità dell’estrema destra. Lo spreco dei Cpr in Albania, esposto alla Corte dei Conti: «Milioni tolti a sanità e scuole» Il merito Il ministro Matteo Piantedosi canta subito vittoria, nonostante l’accordo sia ancora lontano dalla trasformazione in realtà. Per Piantedosi, i centri in Albania torneranno dunque presto al loro scopo originario, per diventare «il primo esempio di quei return hub che sono citati proprio da uno di questi regolamenti» ha detto il ministro a margine del Consiglio. Non è detto però che i centri, dai costi stellari, sotto la lente d’ingrandimento di Corte dei conti e Anac, tornino presto in attività. Anche perché le spese restano altissime: nei pochi giorni in cui sono stati attivi, per ogni posto occupato l’Italia ha speso 153mila euro. La decisione del Consiglio riguarda due definizioni differenti: quella dei paese d’origine sicuri e quella dei paesi terzi sicuri. La modifica che riguarda il primo punto determinerebbe una lista europea comune in cui includere anche tre paesi centrali nella strategia di Meloni perché tra le nazionalità più rappresentate tra chi arriva sulle coste italiane: Egitto, Tunisia e Bangladesh. Alle persone di queste nazionalità «potranno finalmente applicare le procedure accelerate di frontiera»: potranno essere cioè trattenute anche nei cpr albanesi. «E il rispetto dei criteri giuridici che determinano cosa significa “sicuro”?» si chiede Giancarlo Schiavone, presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà. Migranti detenuti nei cpr nonostante fragilità psichiche, rilasciati e abbandonati a sé stessi «È vero che ci saranno limitazioni per aree geografiche e categorie di persone, ma in alcuni di questi paesi non c’è un ordinamento democratico né è scontato che non ci siano persecuzioni nei confronti dei singoli». Se questo principio fosse tradotto in norma così com’è stato formulato, immediatamente verrebbero sollevati questioni di legittimità di fronte alla Corte europea di giustizia. Sulla stessa lunghezza d’onda la Cei, scettica sulla possibilità di utilizzare i centri albanesi: «Non sarei così certo che questo accordo significhi lo sdoganamento dei costosi, scandalosi e finora inutilizzati centri», dice monsignor Gian Carlo Perego, presidente della Commissione Cei che si occupa di immigrazione. La competenza Insomma, l’accordo appare ancora fragile. Il ministro, intanto, celebra anche «l'importante novità che i ricorsi giudiziari non avranno più effetto sospensivo automatico della decisione di rimpatrio» si legge nella nota del Viminale. Insomma, il giudice dovrà valutare di volta in volta se sospendere oppure no la pratica. Per quanto riguarda invece il secondo punto dell’accordo, il trasferimento della competenza su un migrante in un paese terzo, si aprono altre criticità. «Nessuno stato può dismettere i suoi obblighi giuridici di rispetto della convenzione di Ginevra, la quale ammette il trasferimento di responsabilità nell’esame di una domanda d’asilo da un paese a un altro nel solo caso ciò sia necessario per assicurare un’efficace protezione in ragione del fatto che il paese che sarebbe obbligato a prendere in carico le domande di asilo si trova in una condizione di grave difficoltà» spiega ancora Schiavone. Tradotto: un trasferimento della competenza dal Sudan in Italia è possibile, il contrario no. Insomma, rischia di delinearsi addirittura una violazione da parte dell’Ue della convenzione stesa nel continente che rappresenta. Cpr in Albania, Meloni fa scaricabarile: «Non è colpa mia se sono fermi». Il “bottino” di Rama «La protesta contrasta con l'articolo 78 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea» aggiunge Riccardo Magi, segretario di +Europa, che definisce l’accordo «un obbrobrio giuridico» con cui «il Consiglio europeo demolisce gli sforzi fatti in questi anni per costruire un sistema unico europeo basato su regole vincolanti e uniformi in tema di migrazione». Anche in questo caso, insomma, gli appigli per un ricorso non mancano. Unica cosa concreta che il ministro sembra riuscire a portar a casa, per il momento, appare un accordo con la Germania su ong e i cosiddetti “dublinanti”, cioè quei migranti passati dopo un primo arrivo in Italia oltralpe e, sulla base dell’accordo sull’immigrazione, passibili di essere rimandati qui. Insomma, il governo tedesco ha accettato un colpo di spugna sulle pendenze con Roma. Con Berlino, si legge nella nota del Viminale, «abbiamo condiviso un nuovo approccio verso le Ong, che abbiamo convenuto costituire spesso un fattore di pull factor per i flussi migratori irregolari. Italia e Germania hanno inoltre concordato un azzeramento dei dublinanti fino all'entrata in vigore del nuovo Patto Asilo e Migrazione quando i nuovi meccanismi adottati garantiranno il giusto equilibrio tra solidarietà e responsabilità». Una conquista tangibile. Almeno per ora.