In occasione del naufragio nelle acque di Cutro sono state fatte affermazioni che necessitano di essere chiarite. Il riferimento non è alle deplorevoli parole del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi - dalla disperazione che non dovrebbe indurre ad affrontare viaggi pericolosi alla scelta etica di non partire – ma ad alcuni commenti formulati da più parti a margine del tragico evento.

Perché non arrivano in aereo

I migranti avevano pagato 8.000 euro a persona per la traversata verso la Calabria, ma - è stato detto – a quel costo potevano arrivare in aereo senza correre inutili rischi. Chi fa quest’affermazione forse ignora che non tutti possono muoversi liberamente da uno Stato a un altro. Ciò dipende dal paese in cui si ha la sorte di nascere, e cioè dal passaporto di cui si è titolari.

Nel gennaio scorso, la società Henley & Partners ha pubblicato la classifica annuale dei passaporti più forti al mondo - il Passport Index 2023 - cioè quelli che permettono di entrare in uno Stato senza bisogno di un visto prima di partire o solo compilando un modulo all’entrata.

Sono valutati i passaporti di 199 paesi: 193 Stati membri delle Nazioni Unite più altri sei territori, Taiwan, Macao, Hong Kong, Kosovo, Territori Palestinesi e Vaticano. I passaporti che consentono maggiore libertà di viaggiare sono quelli di Giappone, Singapore e Corea del Sud. Il primo permette di visitare 193 Stati senza visto preventivo, il secondo e il terzo 192.

Poi si classificano Germania e Spagna con 190, mentre sono 189 gli stati ove si può accedere senza visto con i passaporti di Finlandia, Italia e Lussemburgo. Ultimo nella graduatoria dell’Henley Passport Index è l’Afghanistan: sono appena 27 i paesi dove gli afghani possono entrare senza visto, cioè 162 paesi in meno rispetto all’Italia.

Il passaporto italiano è, quindi, tra i più “desiderabili”, e forse anche per questo chi lo possiede tende a dare per scontata una facilità di movimento che non è uguale per tutti. Cittadini di altri stati, infatti, per venire in Italia devono sottoporsi a trafile burocratiche e onerosi esborsi economici, dovendo presentare «idonea documentazione atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno e (…) anche per il ritorno nel paese di provenienza» (d. lgs. n. 286/98).

Informazioni più precise sono sul sito della Farnesina. Tutto questo, per un verso, è insostenibile per chi risiede in paesi poverissimi; per altro verso, non garantisce di poter ottenere il visto, anche qualora ne ricorrano i presupposti. Tra le altre cose, le ambasciate talora avanzano richieste discrezionali e immotivate di documentazione ulteriore rispetto a quella prescritta dalla legge anche a chi abbia fornito i numerosi documenti e le sostanziose garanzie economiche previste. Pertanto, le istanze di visto si risolvono spesso in un diniego.

Il diniego, peraltro, dovrebbe essere motivato: invece – come si evince dalle sentenze sui ricorsi presentati – il più delle volte le motivazioni delle autorità consolari sono insufficienti, riportate su moduli prestampati da cui non si riesce a ricostruire l’iter logico-giuridico che ha portato al diniego stesso. Ciò ostacola l’esercizio del diritto di difesa da parte di coloro cui il visto viene rifiutato, e cioè il ricorso al Tar del Lazio, cosa già di per sé non agevole per chi risieda all’estero e non abbia risorse economiche.

Questo è il motivo per cui tanti si affidano ai trafficanti, rischiando la vita in mare.

Corridoi umanitari e motivi di lavoro

Premesso che, come spiegato, molti passaporti non consentono di spostarsi liberamente, e che ottenere un visto di ingresso è impresa ardua, possibilità di entrata legale sono costituite da corridoi umanitari e motivi di lavoro.

I corridoi umanitari - si legge sul sito del ministero degli Esteri - nati dalla collaborazione tra istituzioni e società civile (Caritas Italiana, Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche e Tavola Valdese), «sono un programma di trasferimento e integrazione in Italia rivolto a migranti in condizione di particolare vulnerabilità: donne sole con bambini, vittime del traffico di essere umani, anziani, persone con disabilità o con patologie».

A partire dal febbraio 2015, sono entrate circa 4.000 persone provenienti dal Libano e dall’Etiopia (rifugiati provenienti da Eritrea, Somalia e Sudan), nonché da Niger, Giordania, Libia e Pakistan e Iran (da questi ultimi due, esclusivamente rifugiati afghani). Con riferimento alla Libia, il Protocollo d’intesa siglato nel 2021 ha consentito l’ingresso di 500 beneficiari in due anni. Per quanto riguarda l’Afghanistan, il programma del 2021 per l’apertura di un corridoio umanitario e per l’attivazione di procedure di evacuazione ha permesso l’entrata in Italia di 1.200 cittadini afghani. Una goccia nel mare di chi avrebbe diritto all’accoglienza.

Dunque, i corridoi non consentono l’entrata in Italia di tutti coloro i quali ne avrebbero diritto, ma solo di chi si trovi in situazioni di particolare fragilità, come previsto dai protocolli e come dimostrano i numeri esigui. Pertanto, affermare che chi rientra nella protezione internazionale può arrivare attraverso corridoi umanitari attualmente non è vero: solo i vulnerabili possono farlo.

Resta, quindi, l'ingresso per motivi di lavoro che, in conformità alla legge Bossi-Fini (n. 189/2002), deve avvenire nell'ambito delle quote di ingresso (art. 21 Testo Unico sull’Immigrazione) stabilite nel cosiddetto decreto flussi dal presidente del Consiglio, sulla base dei criteri indicati nel documento programmatico triennale sulle politiche dell'immigrazione.

Il decreto flussi, oltre ad aver previsto quote irrisorie per molti anni, e talora solo per lavoro stagionale o per trasformazione di altri tipi di permesso di soggiorno, è stato oggetto di uso distorto, legittimando il soggiorno “formale” di chi fosse già presente in Italia in modo irregolare. Il fatto è che il decreto consente l'assunzione di stranieri che si trovano nel proprio paese di origine, probabilmente non formati e che forse nemmeno parlano l'italiano: difficile immaginare che qualcuno dall’Italia possa assumerli al buio.

Questo è il principale limite del decreto, nonché il motivo per cui si è prestato a una regolarizzazione “mascherata”. Ciò è confermato dal decreto legge (n. 73/2022) con cui nel giugno scorso, intervenendo sul decreto flussi per il 2022, si è previsto che il datore di lavoro potesse assumere anche chi si trovasse in Italia, sebbene in condizione irregolare, alla data del 1° maggio 2022: presa d’atto ufficiale di ciò che già avveniva in via informale.

Le soluzioni

Per impedire alle persone di partire, cioè per ridurre l'arrivo di stranieri irregolari, serve l'ampliamento di canali di ingresso regolari.

Se si volesse affrontare in modo serio il tema dell’immigrazione, andrebbe prima di tutto considerata la proposta di legge di iniziativa popolare del 2017 avanzata nell'ambito della campagna “Ero straniero”: un permesso di soggiorno temporaneo, da rilasciare a lavoratori stranieri per facilitare l'incontro con i datori di lavoro italiani.

In secondo luogo, andrebbe reintrodotto il sistema dello sponsor, previsto dalla legge Turco-Napolitano (n. 40/1998), per l'inserimento nel mercato del lavoro di persone straniere munite di garanzia di risorse finanziarie e di un alloggio. In terzo luogo, bisognerebbe procedere alla regolarizzazione individuale di stranieri che si trovino in Italia in situazione irregolare, quando sia dimostrabile, ad esempio, che lavorano o hanno legami familiari.

I tre punti indicati dovrebbero essere all’ordine del giorno del consiglio dei ministri che Giorgia Meloni ha annunciato di voler fare a Cutro. Al danno di decine e decine di morti, non si aggiunga la beffa di un consiglio dei ministri che proprio a Cutro preveda facili quanto inutili sanzioni più elevate per favoreggiamento dell’immigrazione o azioni di accoglienza di mera facciata che non fermeranno partenze rischiose per la vita delle persone. Almeno non a Cutro, per favore, anzi per decenza.

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