Stavolta a dare la notizia della sua morte sono stati i familiari. Mino Raiola se n’è andato nella giornata di sabato, a 48 ore di distanza da un annuncio di morte che si era rivelato fasullo ma intanto aveva incendiato il web globale. E invece in questa circostanza il lungo messaggio firmato “The Raiola Family” e diffuso attraverso l’account ufficiale tenuto dallo stesso Raiola su Twitter ha dato un crisma di ufficialità, che toglie dall’imbarazzo i mass media. Il super-agente è deceduto dopo aver «lottato fino all’ultimo istante con tutte le sue forze, proprio come faceva per difendere i calciatori».

Parole non soltanto di circostanza. Perché sull’indole da combattente di Mino Raiola nessuno potrebbe eccepire. Nemmeno i suoi nemici che nel mondo del calcio erano tanti.

Gli ultimi mesi di sofferenza

Nel pomeriggio di giovedì la morte del cinquantaquattrenne agente, nativo di Nocera Inferiore ma da giovanissimo emigrato in Olanda assieme alla famiglia (che lì ha aperto una pizzeria), era stata raccontata un po’ troppo in fretta. Che le sue condizioni di salute fossero gravi era cosa nota sin dai giorni di gennaio in cui si era diffusa la notizia di un suo ricovero presso l’ospedale San Raffaele di Milano.

Si era parlato di complicazioni polmonari, e lo staff del super-agente si era premurato di precisare che le minacce alla sua salute non fossero da attribuire al Covid.

Adesso la notizia della sua scomparsa piomba sul mondo del calcio e sul suo complicato mosaico di poteri, con prospettiva di portare sconvolgimenti imprevedibili.

Una figura controversa

Mino Raiola apparteneva cioè a quella ristretta casta di soggetti che non possono più essere ridotti entro il rango di agenti o di meri intermediari. Perché agenti e intermediari si limitano a compiere un lavoro di mediazione all’interno del mercato. E invece i super-agenti, il mercato, lo creano.

Spostano a proprio piacimento calciatori, ma anche allenatori e, laddove riescono, persino dirigenti. Fanno razzia dei migliori calciatori in circolazione strappandoli agli agenti concorrenti. Fanno circolare una quantità esorbitante di denaro.

Se necessario, vanno allo scontro coi club, anche quelli più blasonati, perché sentono di poterlo fare e perché trattano i calciatori di cui gestiscono la carriera come se giocassero per l’agenzia dello stesso super-agente e non per i club che di volta in volta li pagano.

Tutto ciò compone il modus operandi degli agenti. E tale modus operandi, nel caso di Raiola, veniva sviluppato al cubo. Perché nella ristretta cerchia dei super-agenti vige una regola aurea: fra squali non ci si azzanna. E invece Raiola era un individualista anche in quel contesto.

Scarse relazioni diplomatiche, eccezion fatta per l’ultimo periodo della sua vita, e nessuna remora nell’azzannare agenti che erano campioni nazionali. Come per esempio il potente francese Jean-Pierre Bernes, con cui ha instaurato una guerra molto dura a metà degli Anni Dieci.

Amato e ricercato dai calciatori, odiato da buona parte dei colleghi e fatto oggetto di un rapporto controverso dai presidenti di società. Con questi ultimi che meglio di tutti permettevano di leggere la contraddittorietà della figura di Mino Raiola. Perché a parole i presidenti dicevano di non volere averci a che fare, e che il personaggio era troppo venale e persino sgradevole nei modi. Ma poi correvano tutti a fare affari con lui, perché l'uomo possedeva l'arte di estendere la stringa degli zeri nella cifra di una transazione.

Ci guadagnavano le società che cedevano i calciatori, ci guadagnavano i calciatori che spuntavano ingaggi da sistemare le famiglie per sette generazioni, e soprattutto ci guadagnava lui che portava a casa cifre talmente esorbitanti da rientrare con molta difficoltà sotto la voce “commissioni per intermediazione”.

Erano qualcosa di più, ma mai è stato dimostrato si trattasse di Third party ownership (Tpo), nemmeno in casi clamorosi come quello relativo alla cessione di Paul Pogba dalla Juventus al Manchester United. Avvenuta nell’estate 2016 per 105 milioni di euro, di cui il super-agente ne intascò oltre 27. E il suo stile di conduzione delle trattative era tanto duro quanto informale.

Poteva capitare si presentasse in jeans e felpa (anche in pantaloncini, si favoleggia) a trattare affari milionari. Uno dei quali gli è rimasto irrisolto: il trasferimento dell’attaccante norvegese Erling Braut Håland dal Borussia Dortmund verso una delle grandi d’Europa. Mossa non riuscita la scorsa estate e alla quale il super-agente stava lavorando da mesi assieme al padre del calciatore.

Non è mai stato un agente italiano

 Nell’ultimo periodo della sua vita Raiola aveva anche deciso di aprire un nuovo fronte, con attacco alla Fifa e ai poteri istituzionali del calcio. Nel 2020 aveva creato a Zurigo la società “Football Forum”, chiamando accanto a sé alcuni fra i più potenti super-agenti (Jorge Mendes, David Barnett, i tedeschi dell’agenzia Rogon).

L’intento era di dare più potere ai soggetti produttori di ricchezza nel mondo del calcio. Che secondo l’ottica degli animatori di Football Forum sarebbero i calciatori e i loro agenti. Una visione delle cose discutibile, ma preoccupante abbastanza dal punto di vista della Fifa. Gli insider riferiscono che il livello di reciproca detestazione fra Raiola e il capo del calcio mondiale, Gianni Infantino, abbia toccato livelli inauditi. Adesso quel disegno rimane privo del suo leader, così come rimane scoperto un portafoglio-calciatori di inestimabile valore. Ghiotto abbastanza da far dubitare che la Pax fra i super-agenti duri a lungo.

Tutti loro però, si uniranno al cordoglio per la dipartita. Con la dovuta dose di ipocrisia. Così come stanno facendo in queste ore coloro che lo sbeffeggiavano da vivo per quel suo modo sofferto di parlare italiano. Quasi fosse una colpa essere emigrato da giovane, quando invece è stata la sua salvezza.

Perché in Olanda, paese dove il mercato del calcio era globale prima della globalizzazione, la scuola dei mercanti calcistici era già fiorente e gli ha permesso di forgiare un bagaglio di sapere e saper fare che in Italia non sarebbe stata alla sua portata.

Chiedetevi quanti super-agenti abbia prodotto il calcio italiano nella sua storia e non perdete tempo a darvi una risposta. Essersi scansato una formazione da agente italiano è stata la sua grande fortuna.

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