Il dibattito su Domani a seguito dello scandalo al parlamento europeo e delle polemiche sul caso Soumahoro ha mostrato come l’identità di sinistra debba superare la mitica questione morale.

Frutto di un equivoco pluridecennale, la questione morale è rimasta come un collante residuo di valori in via di smarrimento.

Ma il superamento di questo fattore identitario non deve lasciare spazio a un altro equivoco ancora più pericoloso. Questo superamento non deve portare a un “liberi tutti” valoriale e ideologico in cui, in nome di un malinteso pragmatismo post ideologico, i politici sono legittimati a comportarsi in maniera spregiudicata e ai limiti della legge.

In sostanza, superare la questione morale non deve lasciare spazio a un’assenza di valori.

Nei miei interventi precedenti su Domani avevo sostenuto la necessità di mostrare come i principi affermati e raramente attuati dalla sinistra possano essere formulati anche come legittimi interessi trasversali e non particolari.

Per arginare le accuse di incoerenza tra principi e comportamento pratico, a cui soccombe dialetticamente la sinistra, si deve mostrare come principi e interessi siano anche a vantaggio di larghe parti della popolazione.

Ma il recupero di un discorso sui legittimi interessi non è sufficiente poiché la costruzione di un’identità politica ha bisogno di valori.

In primo luogo, si deve porre un requisito di senso: i valori proposti devono avere un senso sociale per chi dovrebbe votarne i rappresentanti.

Dirlo sembra banale e superfluo, ma non lo è, come mostra lo scollamento degli ultimi anni tra discorso pubblico, pratiche effettive e identificazione degli elettori.

Affinché abbiano senso, i valori proposti (uguaglianza, lotta alla discriminazione, sostenibilità ambientale) devono essere presentati come il legame credibile che connette il cambiamento, e a volte il sacrifico di oggi, a un domani migliore.

Senza il senso dato da un’aspirazione per il meglio lo sforzo risulta difficilmente accettabile politicamente.

In secondo luogo, i partiti e i leader devono soddisfare un requisito di credibilità: ovvero i partiti e i rappresentanti politici devono essere attori credibili per impersonare valori e cambiamento prospettati.

La credibilità deve essere nel curriculum personale e politico delle persone, senza farsi irretire dalla logica populista di una purezza che, prima o poi, divora tutti (anche i populisti al governo).

La credibilità non è una questione che fissa uno steccato antropologico (“noi siamo diversi da loro”) ma un criterio di fiducia nei confronti dei rappresentanti.

Solo così si può presumere che, senza giustizialismo o ossessione di purezza, le istanze valoriali possano cementare un’identità progressista oltre una quota di riserva politica ed elettorale di eterna minoranza.

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