Per il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, ora la priorità è mettere ordine in quel che resta dei gruppi parlamentari dopo la più traumatica delle rotture. La scissione guidata dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio era considerata nell’aria e anche i numeri dei fuoriusciti «erano assolutamente noti», dice un deputato contiano. Adesso, quindi, è il momento di ricompattare il «vero spirito del Movimento» intorno al suo leader e rilanciarlo. Facile a parole, complicatissimo nei fatti.

Conte vuole guardare però il bicchiere mezzo pieno: ha incassato la fiducia del fondatore, Beppe Grillo, con cui pure aveva avuto qualche attrito in passato, e anche il presidente della Camera, Roberto Fico, ha scelto di stare dalla sua parte.

«Qualcuno non crede più nelle regole del gioco? Che lo dica con coraggio e senza espedienti. Deponga le armi di distrazione di massa e parli con onestà», ha scritto il fondatore sul suo blog, aggiungendo che «La luce del sole è il miglior disinfettante. Luce sia, dunque, sulle nostre ferite, sulla palude e sull'oscurità». Al netto del linguaggio criptico, l’uscita è stata letta come una sconfessione del suo ex delfino.

È certo che he la scissione di Di Maio toglierà potere contrattuale al Movimento in questo ultimo scampolo di governo. La scommessa di Conte, però, è che quella del ministro sia una iniziativa tutta parlamentare e senza vera proiezione esterna alle prossime elezioni, se non per Di Maio stesso. «Qualcosa di simile a Italia Viva per il Pd», dice un deputato.

Riconoscimento

La fuoriuscita risolverebbe anche un altro problema pronto a esplodere: quello sul limite del doppio mandato che incombeva su molti dei nuovi membri del gruppo di Di Maio. I sostenitori di Conte, infatti, spiegano che la vera ragione dietro lo strappo non starebbe nella posizione critica del Movimento rispetto alle posizioni del governo Draghi sulla guerra, ma la mannaia del divieto di terzo mandato. Per questo e non certo per la volontà di Conte di «riportare al centro il parlamento nelle scelte di politica estera», si sarebbe consumata la rottura. Conte, infatti, avrebbe sempre rassicurato i parlamentari che non c’era volontà di mettere in crisi l’esecutivo.

Anche chi è rimasto con il capo politico, però, sottolinea che la mossa di caricare di troppo significato la risoluzione sull’Ucraina, che ha dato a Di Maio una buona scusa per mettere in atto la mossa che aveva in cantiere da tempo.

Un’ingenuità, a maggior ragione visto che il documento votato e limato ogni sillaba di fatto è un’arma scarica, visto che è solo un generico impegno per il governo a «continuare a garantire, secondo quanto precisato dal decreto-legge 14 del 2022 (il decreto Ucraina, ndr), il necessario e ampio coinvolgimento delle camere con le modalità ivi previste, in occasione dei più rilevanti summit internazionali riguardanti la guerra in Ucraina e le misure di sostegno alle istituzioni ucraine, ivi comprese le cessioni di forniture militari». Al netto delle ragioni contingenti della risoluzione sull’Ucraina e del vincolo di due mandati, però, al centro dello scontro c’è anche una questione più profonda e che riguarda la capacità di leadership. Quella che Di Maio – dal suo ruolo alla Farnesina e di influenza sui gruppi parlamentari – non ha mai davvero riconosciuto a Conte.

Ora i suoi si aspettano un cambio di passo. La strategia è portare i Cinque stelle su posizioni più movimentiste e critiche nei confronti dell’esecutivo, rispolverando l’antica vena antisistema che aveva fatto le fortune del Movimento. Tuttavia gli interrogativi che si aprono sono molti.

La vena antisistema

Una incognita riguarda il campo largo da costruire con il Partito democratico e quindi se Conte obbligherà Enrico Letta a scegliere tra lui e Di Maio. L’altra riguarda come si riequilibrerà il rapporto con il presidente del Consiglio, Mario Draghi, che ha già fatto capire che non intende nemmeno ragionare di rimpasti di governo. E il tempo per aggiornare la linea del nuovo Movimento alleggerito di una cinquantina di parlamentari non è molto.

Nell’immediato il rischio è che le prossime settimane siano decisive per capire se altri transfughi siano in uscita. Pubblicamente chi rimane nel gruppo professa fedeltà al leader. In separata sede i toni sono diversi: «Per ora resto», dice un deputato Cinque stelle alla prima legislatura, il cui entusiasmo non va oltre il «vediamo come va». «Anche chi è rimasto è cosciente che il Movimento è come il Titanic: sta puntando dritto contro un iceberg e si sta consumando dall’interno», spiega il deputato.

Del resto, nemmeno nelle ore calde in cui le agenzie battevano i numeri dei firmatari per il nuovo gruppo “Insieme per il futuro”, Conte si sarebbe fatto sentire con chi ha deciso di restare. È in questi momenti che l’assenza del leader politico dal gruppo parlamentare si fa più sentire come un problema: difficile organizzare e motivare le truppe da fuori il palazzo.

 

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