Non è una nomina come le altre, quella del nuovo capo di gabinetto alla Regione Lazio approvata dalla giunta lo scorso martedì. Andrea Napoletano sostituisce Albino Ruberti, che si è trasferito al Campidoglio a ricoprire la stessa funzione per il neosindaco Roberto Gualtieri. Napoletano è stato voluto dal presidente Nicola Zingaretti, che lo ha scelto fra le figure già interne all’amministrazione. Da direttore dell'Ater, l’azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica, è stato uomo chiave anche per le campagne “moralizzatrici” della sindaca Virginia Raggi. Più di recente, dal 2016 al 2018, è stato segretario generale e capo della segreteria tecnica del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda. Il quale ha accolto la nomina con un tweet di grande soddisfazione: «Bravo Zingaretti, ottima scelta. Andrea ha fatto molto bene all’Ater e al ministero come segretario generale. Persona di grandi qualità umane e professionali».

Fatto insolito, il funzionario gode della stima da ogni lato del centrosinistra. Lo dimostrano gli applausi della consigliera regionale Marta Bonafoni che ricorda che dall’Ater «ha aiutato la regione a trovare una soluzione legislativa e tecnica per regolarizzare le palestre popolari Verbano e Quarticciolo» e ha gestito lo sgombero di Forza nuova dagli immobili di via Taranto. Soddisfazione anche da Amedeo Ciaccheri, minisindaco del municipio VIII: «Ho avuto modo di lavorare fianco a fianco di Andrea», spiega, «e voglio ringraziarlo per l’energia impressa per rilanciare gli investimenti e promuovere la funzione sociale dell’Ater», tra le protagoniste delle iniziative per il Centenario di Garbatella, cuore della circoscrizione.

Buona creanza a parte, la nomina può passare per normale amministrazione. Invece meglio buttarci un occhio: nel «laboratorio Lazio» Zingaretti anticipa scelte di politica nazionale. È già successo il 12 marzo quando ha allargato la sua giunta al M5S nominando assessore Roberta Lombardo e Valentina Corrado, in linea con le scelte delle alleanze (peraltro fino al 4 marzo Zingaretti era anche segretario Pd). Anche stavolta, con la nomina di un uomo stimato da Calenda, anticipa una tendenza del Nazareno. Solo che ora alla segreteria del Pd c’è Enrico Letta, che del resto proprio Zingaretti ha richiamato da Parigi al momento delle sue dimissioni. Sulle alleanze la linea di Letta è un’evoluzione di quella predecessore: stringere i bulloni con la sinistra, con M5S e con il centro.

Ma il centro, dal giorno dell’impallimento della legge Zan (anche) da parte di Italia viva, è quello di Carlo Calenda. Non più quello di Matteo Renzi. Cosa che a Letta era chiara già durante le amministrative: infatti si rifiutava di attaccare l’ex ministro, che pure menava come un fabbro sull’avversario Gualtieri.

Il rapporto fra Pd e Azione

Ma è un amore pieno di stop and go, quello fra Pd e Azione. Ieri nel gruppo Pd a Bruxelles l’ex ministro ha annunciato che se il M5S aderirà alla famiglia dei Socialisti e democratici, lui traslocherà in quella dei liberali. Un’ostilità, la sua, condivisa con parole altrettanto dure da Irene Tinagli, che però è la vicesegretaria del Pd. Oggi Letta, in arrivo a Bruxelles per la riunione con la delegazione dem, dovrà convincerla.

Quanto a Zingaretti, invece, lavora al fianco del segretario a costruire la futura alleanza. Da quando ha fatto il gran rifiuto, cioè si è ritirato dalla corsa a sindaco di Roma per salvare la sua giunta ormai divenuta giallorossa, fa il presidente di regione a tempo pieno. I rapporti con il nuovo Campidoglio sono formalmente ineccepibili – ha partecipato pancia sotto alla campagna elettorale – ma umanamente freddini, al punto di non essere stato invitato alla festa della vittoria di Gualtieri. Sono invece caldi e frequenti quelli con il Nazareno e in particolare con Letta.

Il presidente ha smentito di voler correre nel seggio da deputato di Roma lasciato libero dal sindaco. Altro sarebbe se la legislatura precipitasse verso il voto anticipato. Per la stessa ragione, difficile che corrisponda a un’ipotesi realistica la voce su di lui come ministro, in un rimpasto di governo, nel caso in cui Mario Draghi traslocasse al Colle.

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