E la Protezione civile? Nel Recovery plan se ne parla di sguincio e in termini generici solo nelle premesse. Ed è un peccato perché se gli oltre 200 miliardi di euro che il Recovery destina all'Italia devono servire per far ripartire possibilmente su basi migliori il paese dopo il grande disastro del Covid, allora il potenziamento della Protezione civile è un capitolo ineludibile proprio per sanare le gravi debolezze messe in evidenza dalla pandemia e più in generale quelle di un paese perseguitato dai terremoti, martoriato dalle alluvioni e dalle frane, con le infrastrutture pericolosamente invecchiate. Nel Recovery ci sono stanziamenti anche cospicui per contrastare il dissesto idrico, migliorare la forestazione, svecchiare le reti fognarie delle città etc... Tutti interventi che migliorano il territorio e quindi contribuiscono in forma indiretta a ridurre in prospettiva il bisogno di azione della Protezione. Almeno questa è la speranza.

Ma non cancellano la necessità di avere un organismo di Protezione civile efficiente e all'altezza. In una delle tante versioni di Recovery circolate più di un mese fa era previsto più di un miliardo di euro per il Dipartimento della Protezione civile in senso stretto, quello alle dirette dipendenze di palazzo Chigi con un organico di circa 700 persone tra staff dirigenziale e professionisti di varie discipline. La cifra era divisa in due progetti: 585 milioni per il potenziamento del sistema di allertamento e mezzo miliardo di euro per l'integrazione di tutte le componenti della Protezione civile, da quelle centrali alle regionali fino ai comuni.

Strada facendo quegli stanziamenti sono spariti, forse perché non avendo la Protezione un suo ministro di riferimento, ha meno capacità di altri di farsi sentire al momento della ripartizione dei fondi. La Protezione civile è rimasta priva di quelle risorse che le avrebbero consentito di fare un nuovo salto di qualità dopo un decennio di alti e bassi. Azzoppata dalle vicende processuali di Guido Bertolaso che nella stagione Berlusconi aveva snaturato la Protezione civile trasformandola in un asso pigliatutto, nel 2012 quest'ultima fu severamente castigata dal governo Monti con una riforma improntata all'idea che essa fosse in sostanza uno spreco da tagliare. La possibilità di intervento della Protezione fu imbrigliata e ingessata in un profluvio di burocrazie.

Ci sono voluti 6 anni perché l'approccio cambiasse grazie a una nuova riforma entrata in vigore il 2 gennaio 2018 voluta dal governo di Paolo Gentiloni (Pd) con la quale veniva ridato fiato a un'organizzazione che non era un carrozzone di Stato mangiasoldi e che, anzi, spesso nel mondo veniva indicata come modello virtuoso. Un esempio non immune da confusione e approssimazione, ma che spesso ha visto davvero fianco a fianco Stato e regioni (la protezione civile è una materia concorrente) che possono fare affidamento su un vero e proprio esercito nazionale composto da migliaia di persone alle dipendenze delle regioni e la bellezza di 800 mila volontari iscritti di cui almeno 200 mila concretamente attivi per fronteggiare le emergenze.

Il punto centrale della riforma Gentiloni era che ogni comune avrebbe dovuto dotarsi di un suo piano di protezione civile. E così è stato fatto nei 7.954 comuni italiani dove in maniera più o meno diligente ogni sindaco ha speso in media oltre 20 mila euro per stare al passo. Ci sono state anche furberie, piani preparati da professionisti per un comune e ricopiati pari pari per numerosi altri, ma in sostanza e al netto delle truffe ora c'è un database enorme sui rischi del territorio con annessi gli interventi da approntare al bisogno. A livello centrale la Protezione si sta poi organizzando per offrire un servizio con cui avvertire i cittadini attraverso gli smartphone del rischio da cui di volta in volta possono essere minacciati, dall'alluvione alla valanga alla frana. Non si tratta di un'app, ma di un sistema chiamato It-Alert che manda un messaggio sullo schermo di cui l'utente non può non prendere visione.

Il punto dolente è che le migliaia di piani comunali preparati spesso ora rimangano intonsi, neanche letti a prendere polvere nei cassetti. Non utilizzarli attivamente sarebbe uno spreco enorme e il Recovery l'occasione per impedirlo. Secondo gli esperti del settore non costerebbe molto mettere in rete quella massa enorme di dati in un sistema operativo nazionale con 20 sale operative in ognuna delle regioni da estendere eventualmente anche ai comuni. Secondo Dimitri Dello Buono un miliardo di euro potrebbe essere la cifra congrua. Sono anni che Dello Buono si occupa dell'organizzazione e dello sviluppo della Protezione civile da direttore del laboratorio di interscambio dei dati informatici e geospaziali del Cnr (Consiglio nazionale ricerche). Finora la messa in rete dei dati per la protezione civile era stata sempre rinviata nonostante fosse ritenuta necessaria perché non c'erano soldi. Con il Recovery i soldi ora potrebbero esserci, bisogna vedere se c'è la volontà politica di utilizzarli bene.

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