Per tutta la giornata di ieri gli «ispettori» del ministero della Salute hanno lavorato per verificare se i dati inviati già la settimana scorsa dal presidente campano Vincenzo De Luca siano attendibili e non invece «poco veritieri» come una campagna di stampa di questi giorni denuncia con insistenza. Sulla modalità di lavoro di questi tecnici alla sede di Lungotevere Ripa si mantiene un riserbo così stretto che assomiglia assai di più alla prudenza per non scoprire confusioni e poca chiarezza. Confusioni che si vanno ad aggiungere a situazioni già di per sé molto pasticciate. La campagna di delegittimazione dei dati ufficiali della regione, per fare un esempio, ha un grande protagonista nel sindaco di Napoli Luigi De Magistris, storico avversario politico di De Luca. Oggi, ormai a fine mandato, De Magistris versa in una condizione politicamente malconcia: con una maggioranza incerta al consiglio comunale, le opposizioni (da M5s a Pd a Fdi) che chiedono il commissariamento della città e il rischio concreto di non riuscire ad approvare il bilancio.

Campania - Italia

La vicenda dei dati campani non è lineare e intellegibile. La cabina di regia, lunedì sera, non li aveva messi in dubbio e aveva mantenuto la regione in fascia gialla. Ieri il ministro della Salute Roberto Speranza, in ritardo di almeno due giorni, ha emesso l’ordinanza con cui ha spedito in fascia arancione le regioni Abruzzo, Basilicata, Liguria, Toscana, Umbria; con Puglia, Sicilia, Toscana. E in fascia rossa la provincia autonoma di Bolzano, con Calabria, Lombardia, Piemonte, Valle d'Aosta. Il resto dell’Italia è in fascia gialla, quella con gli indicatori del contagio meno drammatici. Per una valutazione definitiva della Campania – definitiva si fa per dire, data la scansione settimanale dell’arrivo dei dati – si dovrà aspettare ancora fino a oggi. Ma è noto che il tira e molla fra il ministero e la regione prelude a un innalzamento dei livelli di rischio. E la Campania non è l’unica a rischiare la «retrocessione».

Ieri l'Istituto superiore di sanità l’ha inserita nel gruppo di quattro regioni - con Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia - per le quali, sulla base dei dati dell’ultimo monitoraggio, sarebbe opportuno anticipare i provvedimenti più restrittivi. Questo perché il report di Iss indica che anche queste regioni sono di fatto entrate nello scenario 4, per ora con rischio moderato ma comunque con alta probabilità di progressione. Tra loro ci sono anche regioni di fascia gialla.

La giornata si è chiusa con un mezzo colpo di scena: la cabina di regia di ministero della Salute e Istituto superiore di sanità si starebbe orientando a tenere conto dei dati dell’ultima settimana, e non delle due precedenti, e dei ricoveri del giorno prima. Questo per venire incontro alle richieste di alcuni presidenti a proposito dei provvedimenti che si prendono sulla base di dati superati.

Lunedì 2 novembre, alla presentazione alle camere dell’ultimo Dpcm, il premier Giuseppe Conte si vantava di aver finalmente costruito un sistema «oggettivo», «automatico» in cui i 21 indicatori avrebbero rapidamente creato l’algoritmo che dava il tasso di rischio di ciascuna regione. Ora scopriamo che nel verbale dell’incontro dello scorso 9 novembre, cioè una settimana esatta dopo, la cabina di regia concordava su un nuovo vertice per «rivalutare il sistema di monitoraggio per rispondere meglio alle nuove esigenze imposte dal dpcm del 3 novembre, in particolare determinando l’inclusione di dati più tempestivi sulle occupazioni dei posti letto in terapia intensiva e area medica e l’inclusione di allerte di resilienza ospedaliera quando la probabilità di superare le soglie critiche di occupazione dei posti letto superi il 50 per cento nelle proiezioni realizzate a trenta giorni. Scopo di queste revisioni è quello di poter fornire classificazioni più rispondenti alla situazione di impatto epidemico attuale sui servizi assistenziali».

Questa volta non c’è un nuovo Dpcm ma cambia di nuovo il criterio di valutazione del rischio. Quello che si è usato nelle scorse ore ha lasciato «gialle» intere aree del paese che empiricamente paiono trovarsi in condizioni peggiori. Ministero, Iss e Cts sembrano cercare la maniera scientifica di assumere la decisione che il governo non è stato in grado di prendere. E cioè un’Italia progressivamente trasformata in un’unica fascia rossa nazionale.

C’è chi valuta che possa succedere entro l’ultima settimana di novembre, ma resta una voce senza volto. Nel concreto intanto c’è un’intera Italia in movimento, dunque, che tende a raggiungere la zona di alto rischio.

Altro che Natale sereno

I report dell’Iss assomigliano sempre più ad appelli per l’allargamento verso misure più drastiche. I consulenti vicini al governo ormai ridotti a cassandre condannate a non essere ascoltate anche da chi le ha arruolate nelle proprie file. Sembra lontanissimo quel 13 ottobre in cui il premier Conte aveva intimato a tutti di portarsi la mascherina in borsa, e di indossarla con destrezza quando all’orizzonte si stagliava un’altra persona in rotta di avvicinamento. O quel 18 ottobre in cui aveva consentito ai sindaci di chiudere le strade e i centri urbani, ricevendo in risposta un rifiuto.

Ancora di più sembra lontano di più quel 24 ottobre in cui ha annunciato la chiusura di alcuni esercizi commerciali. Erano ancora i giorni del «mai più un altro lockdown», delle scuole che non potevano chiudere. Quel Dpcm aveva effetto fino al prossimo 26 novembre. «Con questo quadro di misure confidiamo di poter affrontare distesamente il mese di dicembre. Vorremo arrivare al Natale con predisposizione d’animo serena», aveva provato a rassicurare, aggiungendo che «già a dicembre» le prime dosi di vaccini sarebbero state distribuite «alle categorie più fragili e agli operatori sanitari».

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