Il maestro Premio Oscar di La Vita è bella: «Perché una cultura diventi egemone bisogna averla, la cultura. Per ora, si stanno egemonizzando le poltrone». «Il dovere degli intellettuali: pensare, approfondire prima di parlare. Per questo non vanno d’accordo con i tempi dei social». «La cultura “woke”? Al linguaggio civile ci si abitua. Ma bisogna tirare una riga precisa fra correttezza e idiozia»
Oscar per la colonna sonora di La vita è bella, pianista, compositore, direttore d’orchestra, ha scritto musiche per Fellini, Benigni, Bellocchio, e anche Carlo Cecchi, Luca De Filippo, Vittorio Gassman, Gigi Proietti. Ha lavorato con Cerami, firmato un album con De André. Nicola Piovani è un maestro integrale, incallito spettatore d’opere e concerti. Chi vuole incontrarlo deve solo andare alle stagioni liriche romane.
Eppure conosce e frequenta tanti generi pop; gli piacciono le bande, passione ereditata dal padre, suonatore di cornetta nella banda di Corchiano. Ha appena ripubblicato il suo La musica è un pericolo (La nave di Teseo), diario in note sentimentali, tasti dolenti, allegrie ma non troppo.
Vi si ritrova anche la sua passione civile, ed è da qui che iniziamo. Da dove racconta che nell’aprile del 2007 era davanti alla tv a seguire il congresso di Firenze in cui Fassino chiudeva i battenti dei Ds e apriva quelli del Pd. Si aspettava Bandiera Rossa, partì Over the raimbow. Un cambio di musica che diceva molto, e non tutto di buono. Ma, racconta, «non ero contento di sentirmi fuori gioco» per «un inno che tutto sommato non mi è mai parso un granché», «perciò mi adeguai a quel canto, e me lo feci piacere».
La sinistra lì cambiò musica?
Mi è venuto in mente il finale di 1984 di Orwell quando Winston Smith, ormai lobotomizzato, sente l’inno del Grande Fratello, tutti cantano, capisce che è finita, si commuove anche lui. Certo, la citazione è drammatica. Io mi feci piacere Over the rainbow perché era un momento in cui si sperava in un rilancio della sinistra, ci si lasciava alle spalle dei fallimenti, si guardava avanti. Farselo piacere è stato anche un modo di coltivare la speranza.
Ora che la destra ha fatto cambiare musica al paese, è nostalgico?
Ho come tutti tendenze alla nostalgia, ma la nostalgia è pericolosa, c’è chi è nostalgico del linoleum, ma perché l’associa alla sua gioventù. Spesso mitizziamo il passato. Mi insospettisce chi dice che il mondo va sempre peggio: il mondo va migliorato, ma non viene da secoli pacifici e democratici, basta leggere l’Iliade. Gli immigrati italiani che negli anni ‘20 viaggiavano in terza classe, non potevano uscire all’aria se non quando quelli della prima andavano al ristorante. Allora correvano sul ponte: una parte andava a poppa, una parte a prua. A prua c’era l’America, a poppa Napoli. Ci sono uomini di poppa e uomini di prua, io faccio grandi sforzi per essere di prua.
La destra di governo è nostalgica e impone la sua egemonia culturale: ce l’ha fatta?
Intanto perché una cultura diventi egemone bisogna averla, la cultura. Per ora, si stanno egemonizzando le poltrone. A me piacerebbe che ci fosse stata l’egemonia della sinistra, e scoprire che negli anni addietro grandi artisti, musicisti, romanzieri, non hanno potuto esprimersi perché discriminati. Scopriremmo con felicità dei talenti. Ma non credo che Abbado, Piano e Pollini abbiano fatto carriera perché c’era la sinistra. Erano persone di un livello etico e culturale che gli impediva di essere di destra, tutto qui.
Per un musicista le parole d’uso comune hanno un altro significato: tema, tempo, ritmo, allegro. Moderato: che vuol dire per lei?
Una scansione ritmica fra l’andante e l’allegro. Politicamente è un termine per me incomprensibile. Vedo alcuni che si definiscono moderati e si comportano in modo molto aggressivi. Certe idee etiche e di civiltà si possono frequentare senza moderazione, anzi un po’ di radicalismo non farebbe male.
Giorgia Meloni ha detto che da quando è premier non legge un libro e non vede un film. Sono passati due anni.
L’ho ha detto anche Berlusconi, disse “io non leggo libri perché ho da lavorare”. Il sottotesto è che la letteratura, l’arte, sono solo un passatempo, come il bowling. È una visione riduttiva e avvilente della letteratura e dell’arte.
Lei fa una musica piena di cultura, ma che “arriva”. E diffida della “musica colta”. Perché?
La storia della musica colta del ‘900, quella che chiamavamo per capirsi “d’avanguardia”, da Schoenberg in poi, è piena di equivoci ideologici, ma non voglio più parlarne, l’ho fatto tanto all’epoca. Mi spiace che della musica e dell’arte venga trascurato l’aspetto del godimento fruitivo, della comunicativa. A Tokyo ho visto commesse che chiudevano negozi per andare a vedere Traviata. E all’ Amami Alfredo piangevano commosse. Per me il punto è liberarsi dell’atteggiamento aristocratico della cultura e mettersi in comunicazione con chi ascolta, senza identificare la comunicativa espressiva con la banalità. E bisogna avvicinare i giovani alla lirica, ma per farlo non serve modernizzare le opere, far arrivare sul palco Butterfly con la Toyota o Lohengrin con la Lamborghini. Serve abbassare i prezzi: per creare il pubblico del futuro dell’opera i giovani basta fargliela conoscere, agevolare le rappresentazioni scolastiche, prezzi accessibili: ho visto rappresentazioni del Fidelio per studenti che alla fine erano chiassosamente entusiasti. Non ho nulla contro le prime con i biglietti da 700 euro, va bene anche duemila, per godersi abiti eleganti, vip e gioielli, ma dalla seconda replica dovrebbero essere accessibili a tutti i cittadini, che con le loro tasse già pagano comunque i teatri d’opera.
Oggi al posto degli intellettuali ci sono gli influencer?
Ci sono anche i pensatori, ma hanno meno visibilità. Non è facile capire, interpretare il mondo che stiamo vivendo, le idee riflessive sono soffocate da una comunicazione tossica. Lo slogan sostituisce il pensiero, il battibecco sostituisce il dibattito, c’è la tendenza bipolare a trasformare tutto in derby, un sì-no, un pro-contro. La schematizzazione fa male. Certe volte, ascoltando i dibattiti tv, mi viene l’idea che il partito che ha più seguaci è il partito preso. Ci sono cose che non si capiscono subito, vanno approfondite. Ed è questo il dovere degli intellettuali: pensare, approfondire prima di parlare. Per questo non vanno d’accordo con i tempi dei social.
Se non si è sui social, non si esiste.
Capisco chi ci deve stare per forza. Ma non ti costruisci il pensiero sul ritmo dei social. Personalmente, usavo Twitter, lo trovavo adatto ad esprimere gli aforismi che mi piacciono molto. Poi è diventato X, si è ingigantito, è diventato tossico: c’era gente che mi augurava la morte, e allora un giorno ho scritto “penso sia ora di uscire”. Non mi ero reso conto che lo stesso giorno, per combinazione, Piero Pelù ed altri avevano lasciato X, facendone una battaglia ideologica. Leggo “gli intellettuali lasciano contro Musk” e nell’elenco includevano il mio nome: ma io volevo solo andarmene, alla chetichella. Figuriamoci se mi metto io a combattere Musk.
La tecnologia fa male?
No, le invenzioni fanno bene da sempre, dipende dell’uso che se ne fa. E allora chi ha inventato la lama? Serve per operare una peritonite e per scannare la gente. Prometeo ha portato il fuoco agli uomini, un salto enorme per la civiltà. Non ha acceso lui il rogo di Giordano Bruno. Il punto è che la tendenza a un pensiero rapido produce sottocultura. Sui social il pensiero deve essere veloce, invece il libero pensiero deve essere riflessivo. E quasi scientifico che le grandi idee nascano nei tempi morti, nella lentezza, che è il momento in cui il pensiero è libero.
Che pensa della rivolta contro il politicamente corretto? Ormai Trump ha fatto passare l’idea che la “cultura woke” ha fatto perdere la sinistra. È così?
Innanzitutto c’è quest’attitudine a dare le spiegazioni a posteriori del perché uno ha vinto o perso, succede anche nel calcio. Io ho un’idea più elementare: le organizzazioni politiche compatte vincono, quelle disgregate perdono. La correttezza è un valore e va difeso, ma bisogna tirare una riga precisa fra la correttezza e l’idiozia. Le opere d’arte vanno sempre rispettate, ci parlano del bene e del male del loro tempo. Se tu tagli il femminicidio nel finale dell’Otello, non hai corretto la realtà, hai solo massacrato Shakespeare. Sui generi si sentono tante fesserie. I mestieri al femminile a volte suonano male, ma solo quelli apicali, dirigenziali: l’ingegnera suona male, la portiere invece no. Ma al linguaggio civile ci si abitua. Poi non ho capito perché Meloni ha un problema con la parola presidente. Non dice “la cantante”? Ma comunque non è quello il grave. Se il presidente del Senato si vuol far chiamare Lo Russo, faccia pure.
Qual è una cosa grave?
Il cinismo, lo sguardo cinico sulla realtà. I poeti ci insegnano ad avere uno sguardo luminoso, non necessariamente ottimistico, ma aperto. Vivere credendo che tanto non cambierà mai niente è mortificante, non è vita, è premorienza.
La destra costruisce la sua irresistibile ascesa con l’odio, il cinismo, la cattiveria sociale. C’è qualcosa che può batterla?
Innanzitutto andrei piano con l’aggettivo irresistibile. Negli anni ho visto ascese credute irresistibili che hanno imboccato irresistibili discese. L’Italia non è così come la percepiamo dai media. Da un po’ di anni ho deciso di dedicare tempo alla musica dal vivo, fare tournée, andare nei luoghi a suonare fisicamente, in presenza, al Nord al Sud. E mi capita molto spesso di conoscere un’Italia diversa da quella raccontata da tv e giornali. Incontro gruppo di volontari, studenti, associazioni locali attive sul territorio, comitati di solidarietà, una società diversa da quella che si racconta per fare notizia. So che la cattiveria fa più successo, la virtù è noiosa, ma la virtù c’è, grazie al cielo.
Perché “la musica è pericolosa”?
Lo diceva spesso Fellini. La musica è una lingua che non ha sostantivi né verbi, è immensa, ma fatta solo di aggettivi, avverbi. Commuove, ma non racconta niente, questo dava panico a Fellini. Si chiedeva: perché un po’ di note e qualche pausa messe in fila hanno la capacità di strangolarmi di emozione? Guardo i musicisti come eroici astronauti che si espongono alle pericolose radiazioni della musica. La musica è pericolosa, anche per me, ma in senso gioioso: dà emozioni forti, vitali, che rischiano di cambiarti. In meglio, in genere.
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