Gli incontri in videoconferenza fra il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, quello degli Affari europei Enzo Amendola e le delegazioni Pd e Cinque stelle, per un confronto documenti alla mano sui «saldi» del Recovery plan, slittano dal pomeriggio alla serata. Il 30 dicembre toccherà a Italia viva e Liberi e uguali. Ma la giornata di oggi è stata la preparazione di quella, campale, di domani. Nella mattinata del 30 dicembre il premier Giuseppe Conte terrà la conferenza di fine anno a Villa Madama. Causa pandemia e necessità del distanziamento fisico, quest’anno sono solo 42 i giornalisti accreditati, quelli che hanno chiesto di rivolgere una domanda al presidente.

La principale è scontata: da lui si aspetta l’indicazione della sua strada per uscire dalla crisi di governo. Chi ci ha parlato in queste ore lo descrive come sicuro di restare al suo posto e iperattivo in prospettiva delle prossime settimane, con buona pace del suo refrain «ho la valigia sempre pronta». Il proseguimento ordinato della verifica di governo dipende dalle parole, come gli ha ricordato ancora una volta Matteo Renzi, che ha inviato una newsletter che attenua la mitragliata di condizioni per continuare a far parte della maggioranza, il piano «Ciao» avanzato durante la conferenza stampa di lunedì: ben 61 contestazioni sui 130 punti del piano Conte.

«Non chiedo che tutto ciò che scriviamo sia accolto. Mi basterebbe fosse letto. E magari chi non è d’accordo potrebbe fare la fatica di spiegare perché», scrive. Ma ormai da parte di Italia viva la macchina della crisi è innescata. La ministra Teresa Bellanova è scatenata: le sue dimissioni dipendono «dalla volontà di andare avanti per dare risposte al paese e non scegliere gli amici per coprire postazioni» dice a La7 riferendosi alla governance del Recovery fund. Meno drastico Davide Faraone, capogruppo Iv a palazzo Madama e renziano della prima ora: «Da maggio scorso ci sono 36 miliardi del Mes disponibili proprio per la gestione dell’emergenza con condizionalità assolutamente ridotte rispetto alle risorse del Recovery. Noi stiamo ponendo questo tema». Eccetto la ministra, e qualche esibizione di forza («Se hanno altri progetti vadano avanti senza noi», Luciano Nobili), il gruppo dirigente Iv è insolitamente taciturno.

Parlamentari taciturni

Al chiuso qualche dubbio è affiorato alla riunione dei parlamentari che Renzi ha convocato lunedì sera dopo la conferenza stampa, tempistica anche poco apprezzata perché considerata sintomatica di una crisi aperta in solitudine dal leader e sulla base di calcoli non condivisi con i gruppi. Ma l’esclusione del voto attenua le preoccupazioni. Ieri al senato, durante il dibattito ruvido sulla fiducia alla legge finanziaria, le parole di Renzi sono risuonate a più riprese in aula, ma dai banchi delle opposizioni: «Una scelta senz’anima», «raffazzonata», «senza visione e senza un progetto».

Non sono i termini con cui ieri si sono espressi il vicesegretario Pd Andrea Orlando e la portavoce delle donne dem Cecilia D’Elia nell’incontro con Gualtieri e Amendola. Anche se il documento presentato dal Pd non è meno severo con la bozza Conte. Ma il punto è politico. Il premier sarà in grado di fare una sintesi che permetta a Renzi di rientrare in maggioranza senza perdere la faccia? Accetterà di apparire disposto a concedere qualcosa, e non solo a Renzi? Il Pd si sfila dal confronto muscolare fra i due.

«Non va sprecato neppure un euro delle risorse, in parte a fondo perduto, che abbiamo a disposizione. È essenziale che si chiarisca un cronoprogramma preciso per l’adozione del Piano, i tempi del confronto parlamentare e il coinvolgimento del paese», dice il segretario Nicola Zingaretti. «Non vogliamo “restaurare” l’Italia che c’era prima della pandemia, vogliamo costruirne una nuova».

Ma sulla crisi Zingaretti usa parole dure: «Il Pd è fermamente contro atteggiamenti e azioni che rischiano di degenerare in avventure politiche confuse, e in percorsi senza prospettive. Non sarebbe giusto, anche perché c’è da difendere un patrimonio di realizzazioni e indirizzi politici conseguiti, insieme a tutta la maggioranza che sostiene il governo, in questi mesi». Ce l’ha con Renzi. Ma anche con Conte. «Da settimane abbiamo chiesto con grande nettezza e chiediamo tanto più ora, un rilancio dell’azione di governo, del quale il progetto di Recovery fund è parte fondamentale ma non l’unico. È giunto il tempo di essere coerenti».

Il distacco da Renzi

Alla sua maniera cioè con frasi sorvegliate, forse appositamente scolorite per prendere definitivamente le distanze dai fuochi d’artificio di Renzi, Zingaretti si sfila però dal fianco di Conte e dalla eterna parte di alleato incondizionato. E cerca quella che con i suoi ha definito «la terza via» per uscire dal vicolo cieco in cui il governo è finito. «Né con Renzi, né con Conte», dice a chi gli chiede con chi sta.

Perché se il leader di Iv ha indubbiamente il torto di aver infilato l’esecutivo in una situazione «confusa» nel pieno della composizione del Recovery plan, Conte altrettanto indubbiamente ha quello di aver trascinato fin qui problemi che erano lampanti fin dallo scorso 5 novembre, quando il Pd ha chiesto e ottenuto che le forze politiche e il governo si confrontassero su come dare stabilità alla compagine giallorossa. Il confronto si è arenato. Per responsabilità di Iv, ma anche per la colpevole inazione di palazzo Chigi.

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