L’ultimo oggetto di conquista per il centrodestra nel settore della cultura è il teatro di Roma, anche a rischio di venire subissati di ricorsi. Con un blitz, infatti, è stato nominato nuovo direttore generale il regista Luca De Fusco e la votazione è avvenuta in uno scenario surreale: in assenza del presidente del consiglio di amministrazione Francesco Siciliano e della consigliera Natalia Di Iorio che rappresentano il Comune e solo con il vicepresidente nominato dalla Regione Lazio Danilo De Gaizo, la presidente di ConLirica Daniela Traldi (anche lei di nomina della Regione) e l’attore Marco Prosperini, indicato dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. I tre, asserragliati nell’ufficio della fondazione in via Barbieri, avevano voluto fosse presente il collegio dei revisori per garantire la legittimità della seduta.

Col risultato di andare allo scontro totale e col rischio che comunque la votazione risulti illegittima. L’ira del comune si spiega anche col fatto che i fondi a disposizione dell’ente siano per 6,5 milioni messi da Roma Capitale, che è anche proprietario dei tre teatri che la fondazione gestisce (l’Argentina, l’India e il teatro di Villa Torlonia) e solo uno dalla Regione Lazio. Fuori, quindi, il candidato sostenuto dal comune Ninni Cutaia, direttore generale del ministero della Cultura ed ex direttore del Mercadante.

Presidente Siciliano, cosa è successo oggi? La votazione verrà invalidata?

Io sono poco esperto di questioni strettamente giuridiche ma le dico che, al di là della possibilità di un invalidamento del cda di oggi, quello che è stato compiuto è una violenza nei confronti della creatività, del teatro e dei romani. 

Come valuta la nomina di Luca De Fusco?

Quella sul nome è una scelta culturale e Luca De Fusco è un autorevole regista. Può essere considerato non particolarmente innovativo o con una visione poco contemporanea, ma questo è legato al giudizio di ciascuno e se si voglia o meno creare un rapporto con il pubblico più giovane. Il punto è che è stato compiuto uno strappo nei confronti del rapporto con la città di Roma, perchè è stato nominato il direttore generale del teatro di Roma senza la città di Roma. Questo è ineludibile, le carte bollate magari troveranno una soluzione, ma quello che è stato fatto è un delitto.

Perchè parla di delitto?

Perchè c’è stato l’esproprio di una visione condivisa. I teatri stabili nascono con un patto territoriale, hanno i piedi nel territorio dove si trovano. Questo è stato stracciato e umiliato e quindi sono stati umiliati gli artisti, i romani e una istituzione.

Si aspettava questo blitz da parte dei consiglieri di area centrodestra?

Non pensavo che si arrivasse a tanto, ma il mio era ottimismo malriposto e speranza che ci fosse la visione di un bene superiore più importante, anche in un confronto dialetticamente acceso. Invece si è negato tutto, si è andati di forza verso la soluzione gradita a una certa idea del teatro. Mi consola il fatto di aver ricevuto enorme solidarietà da parte del mondo creativo e teatrale non solo romano.

Si parla di occupazione della destra, che cerca di fare la sua egemonia culturale. E’ così?

Non so se c’è una occupazione della destra, mi sembra una semplificazione e mi interessa relativamente. Quel che c’è è sicuramente un imbarbarimento del senso delle funzioni istituzionali e creative, progettuali, aggregative che deve avere un teatro. Non mi interessa nulla e la destra intende, a calci, fare pace con la storia. Io vedo solo i calci. 

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