Che fosse la fine di un’epoca per il metodo Morisi (quello di Luca, l’ex spin doctor di Matteo Salvini, l'inventore della "Bestia") era chiaro già prima che il deus ex machina della propaganda leghista lasciasse il suo incarico di social media manager del Carroccio dopo circa tre anni di faville perché indagato a Verona per cessione e detenzione di stupefacenti.

Bastava dare uno sguardo alle strategie comunicative dell'esercito di candidati alle elezioni amministrative di ottobre per rendersi conto di quanto la situazione sia sfuggita di mano e di come il mostro abbia finito per inghiottire se stesso.

Nell’ultimo mese migliaia di santini hanno invaso le nostre bacheche virtuali dandoci l’impressione di essere gli unici a non essersi candidati assieme ad altri tre o quattro in tutta Italia. Ma poi sono fondamentalmente scomparsi, praticamente tutti, in balìa del mezzo e in assenza di messaggio. Senza una strategia precisa.

In qualche modo il problema della Bestia è stato aver fatto scuola, cioè aver insegnato a chiunque, sia a destra che a manca, l’arte della disintermediazione spinta, ovvero l’idea che bastino un bel piatto di spaghetti, o un caciocavallo, una frase ad effetto e una connessione a Internet per vincere qualsiasi tipo di competizione politica.

Certo, nel frattempo anche i social network hanno stretto i ranghi (gonfiare artificialmente la propria audience o anche solo sponsorizzare contenuti di natura elettorale, è diventato assai più complicato). E c’è da dire che anche la pandemia si è messa di traverso, mandando in overdose da digitale l’elettore medio che dopo l’esperienza traumatica del lockdown non vede l’ora di smaltire la sbornia. All’aria aperta. Lontano da qualsiasi schermo.

Ma il punto è che chi si ritrova candidato in una delle città italiane chiamate al voto il prossimo fine settimana, non ha a disposizione altro che il manuale di comunicazione firmato Luca Morisi. Che da tempo ormai è utilizzato a tutte le latitudini politiche e che si fonda su un assioma di fondo, «se ce l’ha fatta Il Capitano può farcela chiunque», e tre pilastri - (finto) spontaneismo, emotività e profondità di pensiero contenibile in un tweet.

Una conferma autorevole in questo senso arriva dalla voce del marito della sindaca Raggi che intervistato da Selvaggia Lucarelli ha spiegato: «Molti giornalisti mi chiamano dubitando che sia una mia idea, ma è così».

Si riferisce alla pagina Facebook “31 giorni con Virginia”, nella quale Andrea Severini racconta l'ultimo mese di campagna elettorale - come potrebbe fare un qualsiasi bambino di 7 anni - nel tentativo (fallimentare) di dare una spinta definitiva alla (non) riconferma della moglie.

Un genio?

La vera notizia è che alcuni giornalisti possano ritenere che dietro questa trovata (a metà strada tra “Cucinare Male” e “Il diario segreto di un Serial Killer”) possa esserci un genio del marketing, mettendo in dubbio che sia proprio Severini ad aver partorito l’idiozia. Evidentemente pesa ancora molto nell'immaginario giornalistico l'esperienza renziana con quel genio di Jim Messina.

Che, qualora i lettori non lo ricordassero, è stato lo stratega che ha mandato a sbattere contro il muro del referendum del 2016 il senatore di Rignano alla modifica cifra di euro 400mila. È chiaro che Messina, nomen omen, rappresenta per noialtri uno spartiacque: da quel momento in poi, infatti, «a parità di risultato te lo facevo io, gratis».

E infatti, è proprio questo che accade, quest’anno più che mai in passato: perfino il famoso «mio cugino», che lavorava per due lire fino a mezzanotte, lo abbiamo mandato in pensione. Oggi il kit del candidato perfetto fornisce un unico strumento: ce l'hai un account Instagram? E allora metti una foto, metti una scritta, metti millecinquecento hashtag e sfondi Palazzo Marino, o il Campidoglio. Non fa alcuna differenza.

In effetti, sbirciando la strategia social dei vari outsider, le nuove leve cresciute lontane dalle sezioni di partito, si nota facilmente un comune fraintendimento di fondo: più che per un posto in consiglio comunale sembrano in lizza per la presidenza del pianeta Terra con programmi elettorali che ambiscono a rivoluzionare più che il parchetto sotto casa o la viabilità del centro storico, l’intero sistema solare. Il tutto farcito con una prosopopea da sindrome dell’Anno Zero per cui «prima di noi, qui, era tutta campagna».

Ad esempio Mattia Santori ha lanciato su Facebook l’idea del «primo stadio di frisbee a Bologna» con tono sommesso e flebile, ricalcando semplicemente l’I Have a Dream di Martin Luther King (e il Paganello, il torneo internazionale che dal 1990 si svolge due passi più in là, a Rimini, muto).

Oppure ha proposto di risolvere l’annoso guaio del traffico bolognese attraverso un piccolo stratagemma: revocare a DAZN i diritti tv per il calcio - «questo (una fila interminabile di auto, ndr) è quello che succede quando il calendario delle partite lo decide un’emittente privata».

Mauro Orso

Ma volendo Mauro Orso, alla prima esperienza politica, va molto oltre parlando addirittura di un «progetto di comunicazione mondiale» per Milano: «tramite canali social, azioni di marketing mirate e un tone of voice da influecer». Roba che se queste fossero le elezioni del 2011 Beppe Sala potrebbe solo prendere appunti. E invece.

Orso ha 35 anni, il suo è un profilo molto interessante per almeno due motivi: esperto in marketing lavora nel settore della comunicazione, quindi è l’emblema di come, in un contesto di social media manager per caso, ai social media manager di professione non resti che candidarsi essi stessi per non finire sotto a un ponte.

Orso, inserito in una lista civica a supporto del sindaco uscente, è supportato da alcuni pezzi da novanta del web come Cathy La Torre, l’avvocata da 520mila follower, e Cristina Fogazzi, nota online con il nome di Estetista Cinica, 886mila «fagiani» (chiama così i suoi seguaci).

Ecco, questa campagna elettorale sui social è un prolungamento della pausa imposta a Morisi dalla vicenda giudiziaria che lo vede coinvolto: orfana di strategist, uffici stampa e idee, gli unici che riescono a fare una qualche differenza sono quelli che possono contare sul tag di alcuni influencer che li citano nelle loro stories, tra uno shampoo e uno spiegone sull’Afghanistan, facendo crescere a dismisura la loro base elettorale virtuale.

Non ci sono grandi dubbi che Orso abbia raggiunto la cifra record (non solo tra i signori nessuno di questa tornata, ma anche tra coloro che hanno già ricoperto ruoli nell’amministrazione Sala) di 24.000 follower, in costante ascesa, grazie al supporto delle due madrine. Prova nei sia la sua pagina su Facebook: creata nel 2017 è tornata attiva il 21 settembre e conta appena 7 “mi piace”.

Ma La Torre è una spingitrice di candidati alle amministrative a più ampio raggio: sempre assieme a Fogazzi, lo scorso maggio, era stata arruolata per la gestione dei social dal candidato sindaco PD per la città di Bologna, Matteo Lepore. E non solo: solamente negli ultimi giorni l’avvocata ha espresso il suo appoggio - rigorosamente tramite tag - a Simona Larghetti, Presidentessa di Salvaiciclisti Bologna e a Evita Cammerino, capolista al V municipio con Roma Futura (che su Instagram, guardacaso, nell’ultima settimana raccoglie il maggior numero di interazioni con una foto che la ritrae proprio assieme a La Torre).

D’altra parte che online non si muova più foglia per nessuno, a meno di amici influenti, è lampante se si pensa a Roman Pastore: il 21enne candidato nella lista Calenda agli inizi di settembre è finito al centro di un’accesa polemica, che lo ha catapultato di punto in bianco su tutti i media. Bene o male, purchè se ne parli, si diceva una volta. Beh, questa massima non vale più: Pastore è ancora fermo al palo dei 2.000 seguaci. Non ha guadagnato e neppure ha perso un solo like.

Anche se, certo, un’elezione non è un tag di gala e alla fine saranno gli elettori reali a confermare o ribaltare il risultato, l’impressione è che la parabola personale di Morisi sia la metafora di un modo di comunicare la politica sui social che ha fatto il suo tempo.

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