Le immagini della premier Giorgia Meloni a bordo di un F-35 in occasione dei festeggiamenti per il centenario dell’Aeronautica militare hanno fatto il giro dei social, ma hanno anche riaperto il dibattito su una questione mai risolta nel nostro paese: quella dell’equilibrio tra costi e benefici per l’acquisto dei famosi caccia di quinta generazione made in Usa.

L’argomento è da un po’ di tempo fuori dai radar dei media, ma la prosecuzione del programma è invece rimasta una priorità per i ministri della Difesa e per i capi di Stato maggiore, soprattutto a seguito dello scoppio della guerra in Ucraina.

A ribadire l’importanza degli F-35 è stato di recente il capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, generale Luca Goretti, che nella sua audizione al parlamento ha chiesto di aumentare il numero di caccia che l’Italia si è impegnata ad acquistare, passando dai 90 velivoli attuali ai 131 inizialmente previsti nel 2009.

Il programma F-35 ha infatti un’origine molto lontana nel tempo. Il primo via libera è arrivato a dicembre 1998 con il governo di Massimo D’Alema che, con un contributo di 10 miliardi di dollari, ha fatto aderire l’Italia al progetto americano.

Un impegno riconfermato anche da Silvio Berlusconi nel 2002 con un investimento da un miliardo e 28 milioni di dollari e, ancora, da Romano Prodi nel 2007 con un impegno finanziario di altri 904 milioni di dollari e la firma di un Memorandum of understanding. Il quarto governo Berlusconi, nel 2009, ha aggiunto al progetto anche la costruzione di una fabbrica per la produzione di ali, assemblaggio finale e verifica del caccia americano per l’Italia e per gli altri paesi acquirenti con un costo di circa 800 milioni di euro. Il sito, realizzato con soldi pubblici, si trova all’interno dell’aeroporto militare di Cameri (No) ed è gestito dalla Leonardo, partner del progetto F-35 insieme all’americana Lockheed Martin.

I costi

Il costo iniziale del progetto doveva aggirarsi intorno ai 15 miliardi, ma nel 2012 Mario Monti ha deciso di ridurre il numero di F-35 da acquistare, passando da 131 a 90 esemplari con un risparmio previsto di circa 4 miliardi. Di questo risparmio, però, non sembra esserci traccia e, anzi, il progetto sta costando all’Italia molto più di quanto inizialmente previsto.

Secondo stime dell’osservatorio Milex, il solo acquisto di 90 F-35 e la costruzione del sito industriale di Cameri è costato all’incirca 18,2 miliardi. Una cifra che è possibile trovare anche nel Documento programmatico pluriennale della Difesa 2022, ma che in questi numeri fa rientrare i costi di tutte le fasi del progetto.

Come spiega invece Francesco Vignarca, analista di Milex, la cifra è ben più alta: ai 18,2 miliardi calcolati dall’Osservatorio bisogna aggiungere anche i costi per il mantenimento, l’addestramento e quelli operativi, che farebbero salire la cifra finale intorno ai 55 miliardi. Inoltre, se il governo dovesse decidere di accettare la richiesta avanzata dal capo di Stato maggiore dell’Aeronautica e di comprare così altri 41 caccia la spesa salirebbe di atri 8,3 miliardi. L’Italia, quindi, arriverebbe a spendere molto di più rispetto a quanto previsto inizialmente.

I problemi

L’acquisto dei caccia però non si traduce in una loro disponibilità immediata. L’Italia ha sottoscritto contratti per 60 F-35 nella versione A e 30 nella versione B, quest’ultimi suddivisi tra Aeronautica e Marina, ma i velivoli operativi sono ancora meno della metà.

La base di Amendola, in Puglia, ha in dotazione 16 caccia, mentre Ghedi ha a disposizione solo due velivoli già operativi ed è in attesa di un terzo, la cui consegna era prevista per inizio anno. A Ghedi, però, sarà destinato il maggior numero di F-35: i caccia americani sono in grado di trasportare testate nucleari e la base lombarda funge anche da sito di stoccaggio per le bombe B61 americane.

Ma i costi non sono l’unica criticità dei caccia americani. Secondo un report stilato dal Pentagono nel 2021, gli F-35 presentano problemi con il motore e con la disponibilità di pezzi di ricambio, con il software di volo e hanno un’affidabilità ancora troppo bassa, ossia possono svolgere missioni per un tempo ridotto perché necessitano spesso di manutenzione. Stando alle analisi del Dipartimento americano, per più di un terzo del tempo i jet delle forze armate sono rimasti a terra.

Nonostante ciò, l’Italia proseguirà nell’acquisto degli F-35, progetto a cui nemmeno i Cinque stelle sono riusciti a mettere fine e che fornisce al governo Meloni una ragione in più per arrivare a un aumento degli investimenti in Difesa pari, se non superiore al 2 per cento del Pil, prima del 2028. Con grande soddisfazione non solo dei generali ma anche dell’americana Lockheed Martin, che dall’inizio del conflitto ha visto aumentare le richieste per i suoi jet mentre gli stati europei, Italia compresa, continuano a investire altro denaro pubblico in progetti di ricerca per un caccia ancora più all’avanguardia dei tanto dibattuti F-35.

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