Il 21 per cento degli iscritti vuole un nuovo centrosinistra «modello Ulivo» e il 20 per cento è favorevole al dialogo con M5s «a partire dai valori»; solo il 16 preferisce «riaffermare l’identità e i valori del Pd» e il 3 per cento è contrario ad alleanze «non fondate sui valori». Non è un congresso, neanche un «referendum» interno – che il Pd ha nel suo statuto, salvo non aver mai fatto un regolamento per evitare il rischio di doverne indire uno – ma il risultato dei Vademecum distribuiti ai circoli fornisce un minimo di bussola al nuovo segretario Enrico Letta su quello che gli iscritti considerano priorità per il rilancio del Pd.

I dati, elaborati in cinquanta slide, saranno presentati domani all’assemblea nazionale del Pd, che si terrà di nuovo da remoto. Alla consultazione, che si è svolta fra il 15 e il 31 marzo, hanno partecipato 39.742 militanti; sono 2.949 i circoli che si sono riuniti e 1972 quelli che hanno risposto alla sede nazionale, dove sono state «processate» le risposte con un mix di intelligenza artificiale e lettura «umana». Gli iscritti avevano 100 parole per rispondere a ciascuno dei 20 punti proposti.

Scorrendo i risultati – dall’identità del partito alle priorità per ripartire alla legge elettorale – salta all’occhio il fatto che la parola «lavoro» è la più usata; e che la necessità di superare il divario nord-sud è la convinzione dell’85 per cento. Hanno risposto più dal nord (il 52 per cento) che dal sud (il 17) e dal centro (il 29). Significative le risposte sulla selezione della classe dirigente: il 15 per cento indica come priorità «la scelta dei candidati del Pd in modo trasparente», altrettanti dicono no alle liste bloccate, solo per il 4 per cento il taglio dei parlamentari «è un problema», smentendo la sofferenza con cui i parlamentari si sono rassegnati al sì ad una riforma su cui per tre volte avevano votato no. Solo 13 per cento preferisce una «legge elettorale maggioritaria», e cioè l’ultima proposta del Pd dopo il sì al proporzionale ai tempi del Conte due. Il 49 per cento è con il segretario sullo ius soli, sui diritti civili e quelli degli esclusi; invece il 10 per cento non crede che la cittadinanza per i nuovi italiani sia un tema prioritario durante la pandemia.

Ma il risultato più interessante è quel sì all’Ulivo che sommato al sì all’alleanza con i Cinque stelle è un’indicazione, parziale e informale quanto si vuole e tuttavia eloquente, sulla strada del dialogo intrapresa dal segretario Nicola Zingaretti e in queste settimane proseguita, con qualche millimetrica correzione di rotta, dal nuovo segretario.

Una strada ribadita dalla maratona oratoria organizzata da Goffredo Bettini mercoledì pomeriggio per lanciare la sua area «Le Agorà». Bettini è stato accusato dagli ex renziani di essersi troppo entusiasticamente avventurato sulla strada dell’alleanza con Giuseppe Conte. «Non abbiamo mai pensato a una alleanza strutturale», ha spiegato lui, «e invece ora può diventarlo se si va su una legge elettorale maggioritaria e non proporzionale». Al netto degli inciampi alle amministrative, la questione ormai nel Pd sembra diventata pacifica (anche perché rimandata al voto politico del 2023). E ora la prossima tappa sarà il confronto, anche questo organizzato da Bettini, fra Letta e l’ex premier, il prossimo 29 aprile. Un appuntamento che Letta ha mantenuto in agenda anche dopo le polemiche sulla «convergenza di interessi nazionali e internazionali» che secondo il manifesto delle Agorà è stato la principale causa della caduta di Conte.

Del resto Letta ha deciso che accetterà gli inviti alla discussione di tutte le aree interne. Benedire la pluralità e la libera battaglia delle idee anche dentro il partito – «che è vita» viene spiegato – valorizzare tutte le iniziative culturali, non è in contraddizione con la lotta senza quartiere alle correnti intese come filiere di potere. Anzi la convinzione è che le aree culturali possano dare solidità all’«intelligenza collettiva» del Pd.

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