Nicola Zingaretti «sarebbe stato un ottimo candidato a Roma, ma sta facendo un’altra cosa e la sta facendo molto bene», Roberto Gualtieri «da settimane aveva fatto capire che era interessato a candidarsi al Campidoglio. Mettiamo in campo il ministro dell’Economia che ha lanciato la prima versione del Recovery e farà benissimo al Campidoglio». Nell’ormai consueto filodiretto a Radio Immagina, l’emittente web del Pd, Enrico Letta riscrive la vicenda degli ultimi due mesi. In realtà Gualtieri era pronto a candidarsi due mesi fa ma è stato stoppato dallo stesso Nazareno che puntava invece su Zingaretti. Ora però il segretario Pd benedice la corsa dell’uomo in panchina. E per far dimenticare qualche scetticismo di troppo dà per già vinte dall’ex ministro non solo – si fa per dire – le elezioni ma anche le primarie.

Verso le primarie

Sulle elezioni resta naturalmente un grande punto interrogativo. Quanto alle primarie del centrosinistra, sulla carta è praticamente già scritto che sarà Gualtieri a vincere. Ieri gli è arrivata una valanga di in bocca al lupo da quasi tutti i maggiorenti del Pd romano. Il partito ora blinda il suo candidato e lavora ventre a terra per recuperare il tempo perduto. Il 25 maggio scade il termine per la presentazione delle candidature. Non è chiaro ancora quali saranno tutti gli sfidanti di una corsa in cui il Pd sarà evidentemente impegnato a sostenere Gualtieri: fin qui, nonostante vengano riferite «pressioni» per «semplificare il quadro» (tradotto: non disperdere voti) si sa di certo che ai gazebo si presenteranno Paolo Ciani di Demos, Giovanni Caudo, ex assessore di Ignazio Marino e presidente del Terzo Municipio, e Tobia Zevi, che si è portato avanti con il lavoro e ha presentato già la sua eventuale giunta. Invece ci sta pensando la senatrice Monica Cirinnà, che sarebbe un’altra candidata del Pd e in città ha un suo importante seguito; deciderà nelle prossime ore. Stefano Fassina annuncia che la sua lista «Sinistra per Roma» medita una candidatura. La deputata ambientalista Rossella Muroni, sollecitata a partecipare, annuncia il suo no. C’è il rischio che le primarie di Roma diventino una contesa fra soli uomini.

Ieri anche Zingaretti ha offerto il suo appoggio a Gualtieri: «È proprio una candidatura forte e credibile e la sua scelta di candidarsi aiuterà questo progetto di rinascita». Ma il week end in cui è saltata la trattativa con i Cinque stelle sul nome del presidente della regione ha provocato un movimento sussultorio alle alleanze anche a livello nazionale. Le cui onde ora si irradiano verso altre città in cui si tentava l’accordo. «Avevamo chiesto a Virginia Raggi di avere coraggio e mettersi in discussione», racconta Francesco Boccia su La7, «Conte ha fatto una scelta di campo decidendo di sostenere la Raggi, scegliendo la strada del confronto davanti agli elettori». Come il segretario, anche il plenipotenziario del Pd per le amministrative ostenta sicurezza: «Sono sicuro che Gualtieri andrà al ballottaggio. Viceversa sosterremo l’alleanza con la Raggi ma con Gualtieri sindaco. Ci deve essere reciprocità, ma siamo sicuri di arrivare primi». Una «reciprocità» che è tutta da verificare nell’elettorato democratico della Capitale. Ma quello di Boccia è un modo, un po’ contorto in realtà, per salvare la linea politica delle alleanze. E per fare un appello ai Cinque stelle: «Facciamo campagna elettorale contro la destra e la deriva di destra a Roma. Poi è evidente che non siamo d’accordo su come ha governato la Raggi».

Ma è proprio la questione delle alleanze l’epicentro del terremoto in corso. Letta ammette che su Roma e Torino «l’accordo è difficile». A Bologna tutto dipende dal candidato che vincerà le primarie: se passerà Matteo Lepore sì, e invece no se dovesse vincere Isabella Conti, la renziana sostenuta da un pezzo del Pd. Va meglio a Napoli dove l’accordo potrebbe chiudersi sull’ex ministro Gaetano Manfredi.

Gli scettici

Ma Roma è Roma. Il candidato Carlo Calenda parla di «fallimento di una linea politica», perché l’uscita di scena del presidente del Lazio «è stata una vittoria della Raggi e dei Cinque stelle ma più che altro un suicidio del Pd. Farsi mettere in un angolo, bruciando il nome di Zingaretti è una cosa incomprensibile», «La politica come buona amministrazione è scomparsa, rimane solo la politica in cui le città sono ostaggio delle decisioni dei partiti nazionali, senza nessuna verifica sul merito, su come sono andate le cose». Ragionamento condiviso da una parte dei dem. La minoranza Base riformista fin qui ha tenuto a freno lo scetticismo verso l’alleanza Pd-Cinquestelle. Ma ora riaffiora nelle parole di Andrea Marcucci al Foglio. Il senatore pensa l’esatto opposto di Boccia: «Se avessimo seguito la strada di un’intesa locale, nella capitale mai sarebbe uscita indicazione di un rapporto privilegiato con il movimento di Virginia Raggi. In cinque anni l’opposizione del Pd alla sindaca grillina è stata totale e a tutti i livelli. Forse l’errore è stato proprio quello di sottovalutare la realtà e sopravvalutare le possibilità di Conte di intervenire».

Conte nei guai

Conte è uno dei grandi sconfitti della fallita trattativa fra Pd e Cinque stelle. Aveva assicurato a Letta e a Boccia che avrebbe trovato una strada, un modo, per ammorbidire le posizioni di Raggi. E invece la sindaca lo ha messo sotto scacco, tirando dalla sua le assessore M5s della giunta del Lazio che di fatto hanno minacciato le dimissioni. «Grande mossa di Raggi. Ha costretto Conte ad appoggiarla e ha messo in fuori gioco Zingaretti e Letta», è il commento che viene fatto filtrare da fonti parlamentari grilline. Proviene da parlamentari vicini a Luigi Di Maio, a cui evidentemente non dispiacerebbe l’azzoppamento dell’ex premier nel suo già difficilissimo e sempre più eventuale cammino per assumere la guida del movimento. Conte, cioè l’interlocutore privilegiato della scommessa di Letta sulla nuova alleanza.

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