«L’impostazione sul riarmo di Ursula von der Leyen non è condivisibile né dal punto di vista degli interessi della comunità europea, né da quello della deterrenza». L’ex ministro Andrea Orlando è in linea con la segretaria del Pd Elly Schlein, eppure il tema sta dividendo il partito e rischia di allontanarlo dal gruppo dei Socialisti europei.

Lei cosa si aspetta dall’orientamento che uscirà dalla riunione degli eurodeputati dem, in vista del voto sul testo?

Sarà determinante vedere il testo su cui si voterà. Ciò che mi auguro, però, è che si mantenga una critica forte alla proposta von der Leyen, la cui impostazione non mi sembra condivisibile né nell’ottica di un interesse europeo, né in quella della deterrenza.

Quale è l’errore, secondo lei?

La questione cardine è di carattere strategico e su questo dovrebbero confrontarsi i socialisti europei. La risposta di von der Leyen rischia di essere inadeguata alla fase storica che attraversiamo. Von der Leyen ha spiegato che la molla per il riarmo è l’instabilità della Russia di Vladimir Putin, che però non è un fatto nuovo. Il salto logico sta qui: la novità non è Putin, ma la non affidabilità degli Stati Uniti guidati da Donald Trump. Quindi la grande questione europea diventa la collocazione dell’Ue nel mutato scenario globale. Una eventualità, quella della vittoria di Trump, che le classi dirigenti hanno volutamente rimosso, continuando a parlare oltre il tempo massimo di difesa euroatlantica. Basti pensare al trattamento riservato a chiunque ponesse il tema della adeguatezza della Nato.

Ritiene che manchi una riflessione sul rapporto con Trump?

La metto in questi termini: il piano parla di 800 miliardi, che sono la somma di quello che potenzialmente possono spendere i singoli stati, se usano tutti i margini di investimento in difesa. Tuttavia è un fatto che il 70 per cento di questa spesa vada in favore dell’acquisto di tecnologie americane. Eppure proprio questa America così instabile è proprio il soggetto nei confronti del quale si vorrebbero, senza dirlo, prendere contromisure. Mi viene difficile capire come questo sia un modo per rafforzare il protagonismo europeo.

Eppure lei sa bene che questa posizione è in dissonanza con gli altri partiti della famiglia socialista.

È probabile che, nei paesi europei a guida socialista, incida molto l’elemento di maggior flessibilità dei conti che la proposta von der Leyen consente, utile nell’ottica di una costruzione di consenso interno. Consentire di scorporare le spese militari dal bilancio permette ai paesi con una buona capacità fiscale di poter dare risposte anche su altri capitoli. In Italia, invece, il problema non sono i vincoli di stabilità, ma la scarsa capacità fiscale a causa dell’alto debito pubblico, dunque il piano von der Leyen non risponde nemmeno al nostro interesse nazionale.

Dentro al Pd nomi di peso come quelli di Romano Prodi, Luigi Zanda e Paolo Gentiloni hanno sostenuto invece che il piano di von der Leyen sia un primo passo nella direzione giusta.

Tutti esponenti politici per i quali nutro grande rispetto, ma mi sembra che la retorica del primo passo non spieghi in quale direzione vada, questo passo. Il piano von der Leyen rischia di produrre, a seconda delle condizioni finanziarie dei paesi, velocità diverse E rischia di divaricare anche le potenze militari all’interno dell’Ue, con riflessi anche sulle iniziative diplomatiche, così come quelle viste in questi mesi. Mi piacerebbe che ci fosse da parte degli osservatori rispetto anche per queste preoccupazioni, senza l’utilizzo di categorie del criptoputinismo o del pacifismo untuoso, come lo definiva Thomas Mann.

Eppure il mondo cattolico e riformista è in ebollizione nei confronti della linea della segreteria.

Io sono uno di quelli che si è sempre posto il tema del rapporto coi cattolici perché, se il Pd vuole davvero coltivare la sua vocazione maggioritaria, deve assolutamente tenere conto dell’interlocuzione con questo mondo. Eppure trovo sospetto che i valori cattolici vengano fatti valere quando si discute di questioni etiche, mentre non vengano chiamati in causa quando il tema sono la pace e il rischio di un olocausto nucleare. Tema al quale ci richiama spesso il presidente della Cei, Matteo Zuppi. Bisogna prendere atto che l’automatismo cattolici e centro non sempre coincidono.

Zanda ha ipotizzato la necessità di un congresso straordinario per riallinearsi sui temi di politica estera.

Non si può chiedere un congresso ogni volta che non si concorda con le scelte della segreteria, Peraltro votate da una direzione. C’è però la necessità di chiarirsi le idee E gli strumenti ci sono senza dar luogo a una conta sugli organigrammi: uno è quello del congresso tematico, che potrebbe essere utile anche per portare la discussione fuori dal solo gruppo dirigente, l’altro quello del referendum tra gli iscritti.

Non la convince nemmeno la tesi che il riarmo serva nell’ottica della deterrenza?

La deterrenza è fondamentale e non lo nega nessuno. Ho qualche dubbio che Putin si spaventi se gli stati europei fanno investimenti in armi con ricadute positive sugli Usa, che oggi però non si pongono più come avversari della Russia. Credo invece che il Cremlino si spaventerebbe di più se l’Ue si muovesse verso una sua autonomia strategica e verso una progressiva integrazione europea delle forze armate.

Si obietta che per costituire un esercito europeo serviranno decenni.

Mi sembra una caricatura. Nessuno pretende un esercito domattina. Ricordo che la Nato ha una forza di deterrenza anche senza un esercito, grazie al coordinamento tra le diverse forze armate. Ma tutto questo, nel piano von der Leyen, non c’è e nemmeno un piccolo primo passo in questa direzione. Un passo avanti sarebbe stato almeno un ragionamento sulla necessità di allinearsi nell’ottica di una autonomia strategica, attraverso progetti comuni nell’industria della difesa, ma anche su questo non ho visto segnali forti.

Come valuta invece la posizione che sta tenendo Meloni?

Mi sembra che la premier non sia pervenuta. Ha fatto cambiare titolo al piano e rivendicherà questa come una vittoria politica, ma di fatto è immobile. Del resto, Meloni non può far nulla perché non ha risolto la domanda di fondo: sta con Trump o con l’Ue? Proprio perché noi abbiamo sciolto questo nodo, possiamo permetterci di argomentare le nostre critiche. Noi stiamo con l’Ue, ma non rinunciamo a chiedere una Ue diversa.

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