Ad ogni rumore di cannone riprende vigore la giaculatoria “ma dove sono i pacifisti?”, rilanciata da chi subito chiude le orecchie per non ascoltare la risposta. A costoro, forse, dei pacifisti come delle vittime dei conflitti non interessa nulla, presi come sono dalla vis polemica che serve solo ad affermare se stessi.

Per gli interessati alla risposta ecco alcune tracce per scoprire dove sono e cosa fanno i pacifisti, i disarmisti, i nonviolenti. È ancora forte lo stereotipo del pacifista che se ne sta zitto e buono a casa e poi, quando scoppia un conflitto armato, corre in piazza con la bandiera arcobaleno a protestare ed invocare la pace.

Un nuovo movimento

Un pacifismo di sola testimonianza (utile, ma alla fine poco efficace) che non ha mai potuto fermare alcuna guerra e serviva cinquanta anni fa, quando si doveva imporre il tema della pace nell’agenda dell’opinione pubblica. Il tempo è passato e il movimento è cresciuto, dandosi obiettivi politici e strutture organizzate.

Oggi un movimento pacifista e nonviolento maturo non deve farsi dettare l’agenda politica dai lanci di agenzia, ma seguire una propria strategia, condurre proprie campagne costruendo e allargando reti di relazioni e operando nei conflitti reali. Lontano da chi lo giudica solo dalla presenza nelle piazze.

Prima traccia. Già solo l’intensa attività di Rete italiana pace e disarmo evidenzia la capacità di studio, elaborazione e analisi che i pacifisti possono mettere in campo: dal controllo dell’export di armi, alle denunce sulle falle del progetto F-35 con la critica ai mastodontici programmi di riarmo.

Dal blocco della fornitura di bombe italiane all’Arabia Saudita, coinvolta nel conflitto nello Yemen (con il risultato concreto di aver bloccato migliaia di ordigni diretti verso la maggiora catastrofe umanitaria al mondo) alla conquista del Trattato per la messa al bando delle armi nucleari.

Seconda traccia. La campagna Un’altra difesa è possibile per la difesa civile non armata e nonviolenta ha visto gran parte del pacifismo italiano coinvolto nella raccolta di firme a sostegno dei una legge di iniziativa popolare per un dipartimento che possa organizzare e finanziare forme di difesa della patria alternative a quella armata.

Un testo ora all’attenzione delle commissioni parlamentari, che hanno finalmente la possibilità di dare piena attuazione all'articolo 52 della Costituzione, in coerenza con l’articolo 11.

Meno retorica

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Terza traccia. Il pacifismo italiano attua anche una politica di relazioni e solidarietà internazionale: volontari partecipano a progetti internazionali di riconciliazione e soluzione nonviolenta dei conflitti dall’Iraq all’Afghanistan, dalla Siria alla Palestina. È un modo reale e non retorico per aiutare la nascita e lo sviluppo di movimenti nonviolenti anche in contesti di guerra.

Quarta traccia. Le organizzazioni del volontariato sociale sono fortemente impegnate nell’attuazione di un servizio civile universale: più di un milione sono i giovani e le giovani che in questi anni si sono resi protagonisti nell'attuare senza armi il dovere costituzionale della difesa della Patria.

Con questi esempi non vogliamo però eludere il punto decisivo del dibattito: “Il pacifismo è vivo o è morto?” La domanda è seria, e necessita di una risposta seria. Il vecchio pacifismo (quello che già Aldo Capitini chiamava «pacifismo generico» per distinguerlo dal “pacifismo integrale” che identificava con la nonviolenza) è morto, perché ha concluso il suo compito storico. Possiamo anche fissare la data: ottobre 1989, abbattimento del muro di Berlino.

Pacifismo umanitario

Con il nuovo scenario internazionale e le guerre correlate (ex-Jugoslavia e Iraq) è nato il nuovo pacifismo, quello umanitario, quello che ha messo “gli scarponi sul terreno” e si è confrontato direttamente con la “guerra infinita” (gli ultimi venti anni, in cui le spese militari mondiali sono praticamente raddoppiate) il cui capitolo più recente si sta scrivendo in Ucraina.

Lo aveva prefigurato Alex Langer: «Un movimento per la pace che fosse fatto principalmente o esclusivamente di marce e petizioni per chiedere disarmo o condanna di certe aggressioni militari non avrebbe grande credibilità, soprattutto se si limitasse ad invocazioni generiche di pace cui nessuno potrebbe dirsi contrario, ma dalle quali non deriva nessun effetto concreto. Sono convinto che oggi il settore R&S, ricerca e sviluppo della nonviolenza, debba fare grandi passi in avanti e non debba fermarsi alle ormai tradizionali risorse».

Abbiamo condiviso il percorso di Langer e oggi, con il pacifismo maturo attuale, cerchiamo di proseguire «in ciò che era giusto», come lo stesso Langer ha chiesto.

Mao Valpiana è presidente del Movimento nonviolento e coordinatore di Un’altra difesa è possibile; Francesco Vignarca è coordinatore delle Campagne della rete italiana pace e disarmo.

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