Niente bandiere, niente insegne di partito, ma stavolta alla manifestazione pacifista di Roma, che dai numeri si annuncia grande, i partiti dell’ex centrosinistra ci saranno. Non solo gli habitué, come i rossoverdi e Art.1. Ma anche Pd e M5s, e in veste ufficiale, non solo dirigenti alla spicciolata come era accaduto lo scorso marzo, all’indomani dell’invasione russa.

Le parole d’ordine sono: «Cessate il fuoco subito», «Negoziato per la pace», «Mettiamo al bando tutte le armi nucleari» e «Solidarietà con il popolo ucraino e con le vittime di tutte le guerre». Sono piaciute anche al comitato “Fermare la guerra” dell’ex missino Gianni Alemanno, che ci sarà.

«Parole compatibili»

Ma la notizia sta a sinistra, ed è quella dei soliti separati in casa, anzi in corteo stavolta. Giuseppe Conte, che dalla primavera è diventato contrario all’invio delle armi in Ucraina, ha provato a mettersi alla testa della marcia, lanciandola prima che fosse convocata. Ma il cartello organizzatore Europe for peace, che da otto mesi attraversa le città con le bandiere della pace, gli ha fatto capire che non erano graditi cappelli politici. Il M5s comunque ci sarà in forze, ma senza bandiere.

Diverso il caso del Pd, che sulle armi non ha cambiato la posizione, dopo il sì espresso a marzo al provvedimento che autorizza gli aiuti militari fino a fine anno (che del resto anche il M5s ha espresso in aula). Il Pd stavolta c’è perché, spiega Enrico Letta, aderisce a tutte le manifestazioni per la pace. E questa «ha parole d’ordine compatibili con le nostre».

Nei giorni scorsi Marco Furfaro, responsabile movimenti e associazioni, ha mandato una lettera alle tre principali sigle organizzatrici (Europe for Peace, Aci e Arci): la guerra di Putin «sta portando il nostro pianeta sull’orlo dell’abisso», scrive, la violazione del diritto internazionale e dei confini di uno stato sovrano, «non lascia spazio alla neutralità».

Il Pd è «al fianco del popolo ucraino» e continuerà «a sostenerlo», e si impegna a «ogni nostro sforzo diplomatico, in linea con l’Ue e i nostri alleati, per far cessare la guerra e costruire una pace che sancisca le ragioni delle vittime». Per questo chiama i suoi iscritti a partecipare a tutte le iniziative, «per sostenerne e rafforzarne le ragioni».

Finita l’equidistanza

Finito l’equivoco sulla (presunta) «equidistanza» del cartello pacifista fra Zelensky e Putin, che aveva provocato rotture lo scorso marzo, e che poi ha scavato solchi nel mondo progressista. Letta sarò in piazza, e con lui si annuncia buona parte del gruppo dirigente, da Provenzano a Orlando a Orfini e Delrio.

C’è la possibilità di prendere qualche fischio, ma pazienza, «perché la nostra posizione è giusta», ha spiegato il segretario. Del resto anche gli organizzatori non gradirebbero contestazioni e cercheranno di evitarle: il rischio è che la notizia per i media, anziché la moltitudine che chiede il cessate il fuoco, diventi la contestazione.

Resta che il Pd non poteva mancare: per le nobili ragioni del corteo, e anche per non consegnare a Conte l’esclusiva del rapporto con il mondo dei pacifisti. Del resto i democratici partecipano a tutte le manifestazioni «compatibili» con la propria posizione. Questo sabato si faranno in due: a Milano, in contemporanea, Carlo Calenda ha chiamato un presidio per l’Ucraina a cui ha invitato tutte le forze politiche, anche qui senza bandiere.

Perché «la pace non è la resa dell’Ucraina» e invece «le persone che fanno la marcia a Roma dicono siamo per la pace ma non vogliono dare armi all’Ucraina. Lo capisco, però esiste un prezzo per la libertà». Fra gli altri dem, nel capoluogo lombardo ci sarà Alessandro Alfieri, portavoce di Base riformista, anche lui si farà in due: parteciperà a quella di Roma e poi volerà a Milano.

Separati in corteo

Gli organizzatori del corteo romano respingono il sospetto di aver annacquato le loro parole d’ordine per consentire ai dem di partecipare. «Quando abbiamo deciso la piattaforma», spiega Francesco Vignarca, della Rete pace e disarmo, «dei partiti proprio non avevamo idea. Dopo otto mesi di guerra devastante, avevamo l’esigenza tutti insieme di capire quali fossero i passi successivi. E tutte le organizzazioni si sono ritrovate a convergere sulla priorità del cessate il fuoco, della messa al bando delle armi nucleari e della conferenza di pace dell’Onu. E basta guerra, la pace non si ottiene con le armi».

Siglata la tregua con i partiti, difficile che l’amalgama però funzioni bene. Anche perché ciascuna associazione porterà in piazza le proprie parole d’ordine e le proprie sfumature. «Agli esponenti dei partiti che parteciperanno, consiglio di venire portandosi un grande cartello con la scritta “Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa…”», avverte Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento; e se poi «non ci sarà lavoro politico serio sul programma per la pace» la presenza dei politici «sarà stata del tutto inutile, un presa in giro persino di se stessi».

La Rete dei numeri pari, della galassia di Libera, va oltre, chiede «una pace a tutti i costi», che è formula indigesta per chi è favorevole all’aiuto militare all’Ucraina: perché la resa di Kiev non è un costo sostenibile.

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