La Verità titola con apprensione: «Sarà un altro Bergoglio?». Libero rassicura i suoi lettori: «Non è Francesco», e mette nel sommario di prima quello che a destra viene considerato un ottimo biglietto da visita per dimenticare il predecessore: «Duro sull’ideologia gender, si presenta con i paramenti rossi che Bergoglio aveva archiviato».

Leone XIV confonde la politica italiana, che poco lo conosce e nelle prime ore procede tentoni per capire se potrà arruolarlo nelle proprie file. Matteo Salvini, che ostende rosari e immagini sacre, alla fumata bianca si precipita in piazza San Pietro e posta mani giunte all’indirizzo del camino. Poi si dichiara «emozionato e commosso» alle prime parole di Prevost: «Pace disarmata e disarmante». Tralascia le altre, quelle che chiedono «ponti» e non muri.

Giorgia Meloni gli invia una lettera di «affetto filiale» e assicura che «gli italiani guarderanno a Lei come guida e punto di riferimento». Piace a destra e a sinistra quella parola «pace» ripetuta otto volte. Piace molto al governo e alla destra, fino a una certa ora di ieri, questo papa molto meno urticante di Bergoglio che, chissà, potrebbe dare una mano (la mano de Dios, s’intende) se mai il governo italiano dovesse schierarsi dalla parte della «pace» di Donald Trump in Ucraina.

La prima a subodorare la fregatura è la ministra Daniela Santanchè. «Le prime parole del nuovo papa trovano la condivisione di tutti», ammette, ma del resto, «chi è che non vuole la pace? Chi è che non vuole occuparsi degli ultimi? Poi dovremo capire com’è la pace, se è una pace giusta, ovviamente».

Parola di Bannon

Poi però ieri, in tarda mattinata, arriva una doccia fredda. Se Donald Trump aveva diffuso una nota entusiastica, forse anche allo scopo di nascondere la delusione («È un tale onore sapere che è il primo papa americano. Non vedo l’ora di incontrarlo»), ci pensa Steve Bannon a dichiarare il vero sentimento del trumpismo verso il pontefice.

«La scelta peggiore per i cattolici Maga», la sua elezione «è un voto anti-Trump da parte dei globalisti della Curia». Giorni fa ha definito Prevost il «dark horse», spinto dal «Deep State» della «Deep Church», che per la destra Usa è come dire il nemico. Del resto, da due giorni circola sui social un post del cardinale Prevost in cui corregge severamente le convinzioni dottrinali del vice di Trump: il titolo è «Vance sbaglia».

Sinistra senza Francesco

Va detto che anche a sinistra Leone XIV sbaraglia. I pacifisti e disarmisti radicali capiscono di aver perso con Francesco il potente scudo morale e politico, oltreché l’amico vaticano che aiutava – anche materialmente – gli immigrati dei palazzi occupati e le ong del salvataggio in mare.

La verità è che anche a sinistra del nuovo papa non v’è certezza. Sarà anche lontano da Trump, ma sfugge alle tifoserie che Bergoglio aveva suscitato. Che di qua era un’icona, citatissimo, in parlamento, ai congressi, nei centri sociali. Nel 2018 Massimo D’Alema lo aveva definito «il principale leader della sinistra». «Una battuta», si è emendato di recente, ma solo perché un papa non può essere definito «di sinistra», né sta bene tirarlo per la tonaca. E ora che succede?

Succede che Giuseppe Conte elogia le sue parole «chiare e coraggiose» sulla pace. Elly Schlein dal momento dell’elezione ci mette qualche ora per meditare un comunicato di «congratulazioni», che contiene l’ultimo omaggio a papa Francesco, la «speranza di pace per i popoli di tutto il mondo» e si conclude con «i migliori auguri per l’importante responsabilità che gli è stata affidata».

Dalla parte dei cattolici democratici di ogni parrocchia, quelli radicali bergogliani e quelli moderati e riformisti del Pd, si segnala un silenzio quasi completo. Rotto da poche voci, che si concentrano sui riferimenti. Il professore Stefano Ceccanti, sul Quotidiano nazionale, spiega che la scelta del nome indica «una molteplice volontà di apertura».

Leone XIII è stato il papa dell’enciclica Rerum Novarum (del 1891), quella che ammise «la legittimità dei sindacati di soli operai e non solo delle realtà corporative di operai e padroni». Quell’enciclica peraltro contiene parole durissime contro l’assenza del «giusto salario»: «Si ricordino i datori di lavoro che (...) defraudare il dovuto salario è colpa così enorme che grida vendetta al cospetto di Dio».

L’ex ministro Giuseppe Fioroni, democristiano e cattolicissimo, cita il papa in un ricordo dello statista Dc di cui ieri ricorrevano i 47 anni dall’omicidio. Spiega cioè Aldo Moro con «le parole di papa Prevost»: «Voleva costruire ponti».

Per il resto i cattolici progressisti ma adulti e avveduti evitano eccessi dichiaratori. «Per rispetto», viene spiegato. La verità è che i più allenati alle sfumature delle parole dell’Alto Soglio, e alle parole mancate, capiscono che la missione del nuovo papa è delicata e non va “sporcata” dagli abbracci della politica. Che possono essere velenosi: di qua e di là.

Leone XIV ha usato la formula «camminare insieme»: per gli italiani evoca la pastorale del 1971 di monsignor Michele Pellegrino, che significava l’apertura della chiesa agli «altri», fino alla benedizione dei preti di strada, e comunque senza dubbio il dialogo con il mondo progressista. Ma quella formula, pronunciata ora «urbi et orbi», è un invito a ricomporre le fratture: anche quelle interne alla chiesa. Dunque, viene sussurrato da questa parte, «lasciamolo lavorare».

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