A nove mesi esatti dall’inizio del conflitto, papa Francesco ha indirizzato un messaggio al popolo ucraino; nel testo, diffuso nella serata di venerdì dal Vaticano, il vescovo di Roma esprime l’orrore per la violenza della tragedia che ha colpito l’Ucraina, descrive la catastrofe che si è abbattuta sul Paese e sui civili e afferma senza mezzi termini: «Il vostro dolore è il mio dolore».

Nella croce di Gesù oggi vedo voi, voi che soffrite il terrore scatenato da questa aggressione. Sì, la croce che ha torturato il Signore rivive nelle torture rinvenute sui cadaveri, nelle fosse comuni scoperte in varie città, in quelle e in tante altre immagini cruente che ci sono entrate nell’anima, che fanno levare un grido: perché? Come possono degli uomini trattare così altri uomini?».

Bombe e speranze di pace

Parole forti che, inevitabilmente, chiamano in causa le responsabilità di chi ha dato il via al confitto: «Nel vostro cielo rimbombano senza sosta il fragore sinistro delle esplosioni e il suono inquietante delle sirene. Le vostre città sono martellate dalle bombe mentre piogge di missili provocano morte, distruzione e dolore, fame, sete e freddo. Nelle vostre strade tanti sono dovuti fuggire, lasciando case e affetti».

D’altro canto il pontefice ha compiuto un ulteriore passo paragonando la sofferenza attuale del popolo ucraino, all’ Holodomor, la terribile carestia che, in piena epoca staliniana, fra il 1931 e il 1932, colpì l’Ucraina causando un incalcolabile numero di vittime.

Francesco, poi, descrivendo la gravità della crisi, si è rivolto anche alle autorità di Kiev: «su di loro incombe il dovere di governare il Paese in tempi tragici e di prendere decisioni lungimiranti per la pace e per sviluppare l’economia durante la distruzione di tante infrastrutture vitali, in città come nelle campagne».

Dunque l’invito al governo è quello di compiere oggi i passi necessari per scongiurare ulteriori sofferenze, il che significa anche cercare la via per aprire un negoziato; tuttavia il papa ha espresso la propria vicinanza anche ai giovani ucraini «che per difendere coraggiosamente la patria» hanno dovuto «mettere mano alle armi anziché ai sogni» che avevano coltivato per il futuro.

L’allarme

 Francesco, insomma, lancia l’allarme per crescente brutalità del conflitto poiché intravede il rischio di un’assuefazione alla guerra proprio nel momento in cui la popolazione civile sembra pagare il prezzo più alto.

Al contempo, le parole del Pontefice costituiscono un pesante j’accuse verso le autorità di Mosca, di fatto chiamate in causa per aver provocato la morte di tanti innocenti, fra cui molti bambini; indubbiamente Bergoglio parla di violazioni di diritti umani quando cita le torture, le fosse comuni, le violenze contro le donne.

Il papa, infine, rinnova il proprio sostegno alla chiesa ucraina, «a voi pastori del popolo santo di Dio, che – spesso con grande rischio per la vostra incolumità – siete rimasti accanto alla gente, portando la consolazione di Dio e la solidarietà dei fratelli, trasformando con creatività luoghi comunitari e conventi in alloggi dove offrire ospitalità, soccorso e cibo a chi versa in condizioni difficili».

Il pessimismo di Parolin

Pietro Parolin (AP)

In un simile contesto, la Santa sede non rinuncia a sperare di dare il proprio contributo all’apertura di un negoziato, tuttavia il quadro generale non lascia molto spazio a questa ipotesi, come ha ripetuto il Segretario di stato vaticano, cardinale Pietro Parolin a tv2000, giovedì scorso.

La possibilità che si apra lo spazio per una possibile mediazione della chiesa, ha infatti detto il cardinale, «dipende dalle parti. La disponibilità della Santa sede è stata data fin dall'inizio. Il papa ha ripetuto continuamente questa sua volontà di far cessare la guerra ma anche di mettersi a disposizione per offrire le condizioni e gli ambiti affinché questo avvenga. Fino adesso però non abbiamo visto risposte».

Quindi ha ripetuto le diverse modalità d’intervento messe in campo dal Vaticano nella crisi in corso: «Le tre linee sulle quali la Santa sede si muove  - ha spiegato il segretario di stato - sono prima di tutto il magistero del papa con i suoi continui e accorati appelli per la fine della guerra; poi c’è l’aspetto umanitario poiché la situazione in Ucraina sta diventando sempre più insostenibile con la popolazione lasciata al buio e al freddo a causa dei bombardamenti alle installazioni civili, una cosa veramente impensabile; e poi c’è l’azione diplomatica che per il momento non ha prodotto grandi risultati».

Nell’affermazione conclusiva di Parolin può intravedersi lo stallo della diplomazia complessivamente intesa di fronte al perdurare della guerra e, anzi, all’incancrenirsi del confitto in una spirale sempre più drammatica caratterizzata dall’arrivo dell’inverno.

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