«È falso che io abbia introdotto Gianluigi Torzi o persone con precedenti penali in Vaticano. Al contrario, io ho conosciuto Torzi solo il 12 novembre del 2018, quando l'affare londinese con il finanziere era stato definito già da altri».

Giuseppe Milanese contesta una per una tutte le accuse fattegli dai promotori di Giustizia, e spiega che i magistrati del papa Francesco, «a cui mi lega una amicizia disinteressata», potrebbero essere incorsi in una serie di equivoci. «Credo che dopo i miei interrogatori di aprile tutto si sia tutto chiarito».

Partiamo dal sospetto più grave: secondo la rogatoria dello scorso novembre lei è complice di Torzi.

«Ho spiegato bene ai promotori che con questa storia non c'entro nulla. Al contrario, ho cercato di aiutare il papa e il sostituto Peña Parra a risolvere la vicenda del palazzo, senza però riuscirci. La verità è che ho conosciuto Torzi tramite il professor Giovannini, che a fine settembre 2018 mi propose di entrare nel board scientifico di un comitato del suo ateneo. Mi ritrovai in una riunione surreale dove c'erano Tirabassi, che già conoscevo, e Intendente, che vedevo per la prima volta in vita mia. Qualche settimana dopo, Intendente mi chiamò per propormi di comprare i crediti incagliati della mia coooperativa. Il 12 novembre incontrai lui e Torzi, mai conosciuto prima. Si presentò in modo poco professionale, per come era vestito. Ma siccome Giovannini era uno stimato rettore e Intendente mi disse lavorava per Ernst&Young, andai avanti nel tentativo di cartolarizzare i crediti con la Sunset di Torzi. La cosa alla fine saltò, non mi fidavo più».

Quando venne a conoscenza delle richieste estortive di Torzi alla segreteria di Stato?

«Solo il 17 dicembre, giorno del compleanno di papa Francesco. Giovannini mi raccontò la vicenda dell'immobile e della Gutt, di cui non sapevo nulla. Mi disse che lui insieme a Intendente e Torzi avevano distrutto un presunto sistema criminale, incentrato su Crasso e Raffaele Mincione».

In realtà in quei giorni Torzi non voleva affatto restituire le sue quote...

«È vero, ma lo seppi solo due giorni dopo, il 18. Il papa mi chiese di dargli una mano, e così incontrai Peña Parra che mi disse, a differenza di quanto detto da Giovannini, che Torzi si era tenuto le mille azioni della Gutt con diritto di voto. Dissi a tutti, anche al Santo Padre, che mi sembrava incredibile che i funzionari della Segreteria di Stato, in primis Tirabassi, avessero di fatto dato le chiavi del palazzo alla società di Torzi di cui non avevano alcun controllo. A questo punto partecipai a una serie di incontri dove cercai di convincere queste persone a restituire l'immobile a fronte di un piccolo guadagno. Dissi proprio così, “un piccolo guadagno”, in un meeting avvenuto in Vaticano con Torzi e Intendente il 26 dicembre 2018. A quell'incontro presenziò brevemente anche il papa. Credetti che Torzi e i suoi avrebbero mantenuto gli impegni».

Quali erano? Torzi alla fine ottenuto ben 15 milioni di euro.

«Ma io non ho mai proposto somme del genere! Al massimo, per quello i costi che potevano potuto avere, la consulenza per me valeva 3 milioni complessivi. Quando capii che le cifre richieste erano molto più alte, mi defilai dalla trattativa. Anche perché aveva preso una direzione assai diversa da quella ipotizzata nella riunione del 26 dicembre con il papa».

È un paradosso che i magistrati di Francesco la accusano di aver rapporti con la criminalità, di fare affari con gli indagati, di aver avuto 350mila euro provenienti dai fondi dell'Obolo di San Pietro?

«Non ho mai avuto rapporti con mafiosi o camorristi, querelerò tutti quelli che lo scrivono. E la consulenza a Tirabassi non si è mai concretizzata. È vero invece che chiesi a Crasso se voleva comprare con i suoi fondi 10 milioni di crediti della cooperativa. Ma gli dissi chiaramente di non usare i soldi della Segreteria di Stato, ma altri veicoli finanziari. Proprio per non essere strumentalizzato nella mia amicizia con il pontefice».

E i 350 mila euro avuti da Becciu e Peña Parra?

«I soldi dell'Obolo li ho avuti solo per progetti della cooperativa come “Non ti scordar di me”, iniziativa che aiuta i bambini e gli anziani. E mi faccia dire che questo Calamelli che avrei raccomandato al Bambin Gesù me lo presentò una volta Tirabassi, ma non mi ricordo nemmeno perché. La cooperativa Osa lavora con l'ospedale da oltre 20 anni, e l'appalto da 23 milioni non era certo il primo che vincevamo. Sono sicuro che i magistrati e il papa ormai hanno capito bene, in questa storia, chi sono i buoni e chi i cattivi».

 

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