Trarre un’interpretazione generale che illumini la stato della politica italiana da un solo dibattito è, ne sono perfettamente consapevole, un’operazione azzardata e rischiosa.

Tuttavia, se il dibattito di ieri in Senato viene collocato nella prospettiva giusta, quel che lo aveva preceduto e come si è concluso, allora qualcosa, forse molto, di utile si può dire.

Il prima è rappresentato dalle tensioni nel Movimento 5 stelle, che forse sfoceranno nella Costituzione di un altro gruppo parlamentare a sostegno del ministro Luigi Di Maio.

Sarà anche il caso di fare due conti e smettere di chiamare partito di maggioranza relativa quel che resta dei Cinque stelle.

L’altro elemento del prima, da non dimenticare mai, è che il governo si muove in base ad una risoluzione approvata all’inizio di marzo avente validità fino alla fine di dicembre.

Qualcuno fra i “comunicatori” non riesce mai a resistere e bolla tensioni e conflitti, differenze d’opinione e prese di distanza, come “teatrino della politica”.

Già, la politica è anche un teatrino, non soltanto in Italia, però, altrove, non dappertutto, con attori meno vanesi dei politici italiani attuali.

Dal canto loro, i cittadini non sono soltanto spettatori che guardano poiché agiscono con il voto e il non-voto. Ecco, a troppi parlamentari in carica e a qualche leader extraparlamentare manca la consapevolezza che il giudizio degli elettori è spesso a tutto tondo.

Il dopo è rappresentato dall’incidenza che il dibattito, non brillantissimo, e la risoluzione conclusiva hanno sulla libertà d’azione del presidente del Consiglio.

Dimostrando di avere imparato moltissimo e che, quindi, i suoi tanti anni parlamentari sono stati messi a buon frutto, il senatore Pierferdinando Casini ha proposto la stesura più efficace della risoluzione: «Sentite le comunicazioni del presidente del Consiglio, il Senato approva».

In quanto detto in maniera precisa e sintetica da Draghi c’è tutto il necessario per conoscere come l’Italia si muove nell’Unione europea anche per giungere ad una soluzione positiva per l’Ucraina.

Nell’approvazione del Senato poteva/può stare anche la discrezionalità governativa necessaria per fare fronte a insorgenze e emergenze senza dovere ricorrere a convocazioni frequenti e frettolose.

Nella sua acquisita saggezza Casini ha fatto notare che i leader autoritari godono di un vantaggio nella possibilità di prendere decisioni in maniera rapida senza obbligo di consultazioni e di assunzione di responsabilità (in un dibattito accademico farei notare che questa rapidità solitaria è spesso costosa in termini di informazioni disponibili e impatto di decisioni sbagliate).

Lungi da me, peraltro, pensare che il governo in una democrazia parlamentare debba sentirsi “commissariato” solo perché è chiamato a rispondere dal parlamento/in parlamento di quello che ha fatto, non fatto, fatto male e intende fare.

Evitando gli eccessi dovuti alla incultura istituzionale e politica di troppi parlamentari il confronto parlamento/governo è il sale delle democrazie parlamentari (il question time del parlamento di Westminster può essere entusiasmante).

Quasi altrettanto lungi da me credere che di per sé il parlamento sia automaticamente in grado di contribuire al buongoverno se e quando, come non solo in questa legislatura, capita che leader ambiziosi e gruppi di sbandati vogliano accarezzare il loro ego e risolvere i loro problemi con esibizioni da tornei di retorica. Allora, virtus non stat in medio, ma nelle mani e nella mente del capo del governo.

 

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