«Una strategia universalistica sul lavoro, per 23 milioni di lavoratori, per accelerare la dinamica delle vaccinazioni che non basta ancora per raggiungere l’immunità di gregge». Il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta ammette che il provvedimento che il governo ieri ha varato è un inedito in tutta Europa, ma rovescia in vanto quello che le destre antivacciniste considerano un argomento a proprio vantaggio. «L’Italia si pone all’avanguardia. Il fatto che questo provvedimento entrerà in vigore il 15 ottobre è un messaggio chiaro: vaccinatevi in queste quattro settimane. Il risultato potrebbe essere in parte già conseguito all’inizio dell’entrata in vigore del decreto. C’è fretta perché arriva l’autunno e la circolazione del virus aumenta e con questa la probabilità che si formino varianti». Alla conferenza stampa che illustra il decreto che estende il green pass ai luoghi di lavoro pubblici e privati ci sono i ministri Brunetta, della Salute, Roberto Speranza, degli Affari regionali, Mariastella Gelmini, del Lavoro, Andrea Orlando. Forza Italia, Leu e Pd: manca un ministro leghista, ma i colleghi assicurano che il provvedimento è stato varato all’unanimità.

Non si presenta Mario Draghi davanti ai giornalisti. Ma è evidente che anche questo nuovo provvedimento, come la fiducia a quello votato mercoledì al senato, ha il marchio di garanzia del presidente del Consiglio, che ha ingranato la quarta non solo per evitare l’incubo delle chiusure e delle limitazioni, ma per dare una mano alla ripresa economica. Subito prima del consiglio dei ministri, ieri pomeriggio, il governo ha incontrato le regioni e in mattinata si era riunita la cabina di regia. Lì il ministro della cultura, Dario Franceschini, prova ad azzardare la richiesta di eliminare da subito le limitazioni per i teatri, riportando la capienza al cento per cento. E il ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti chiede la riapertura delle discoteche. Il ministro della salute Speranza frena e Draghi gli dà ragione: meglio, spiega, aspettare «una valutazione più complessiva» anche per misurare l’impatto del ritorno a scuola sulla curva dei contagi (tema su cui però l’anno scorso né i tecnici né gli scienziati avevano raggiunto una valutazione condivisa). Su questo il governo si riaggiornerà a ottobre, il Comitato tecnico scientifico darà un parere entro il 30 settembre.

Il provvedimento varato lascia sul campo una quantità di sconfitti, ai quali Draghi concede qualche minimo dettaglio di consolazione. Il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, il leghista in linea con il suo premier e non con il suo segretario, per attutire il colpo provocato dal sì al certificato verde, chiede che i tamponi siano validi per 72 ore anziché le attuali 48 attuali. Il governo dice sì ma solo per i test molecolari.

Niente licenziamenti

Spariscono i licenziamenti: chi non ha il pass e non si presenta al lavoro per cinque giorni consecutivi viene sospeso e resta senza stipendio, almeno fino alla durata dello stato di emergenza e cioè fino a fine anno. Ma conserva il rapporto di lavoro. «Vogliamo che le persone si vaccinino, ma ci fermiamo un attimo prima dell’obbligo, che polarizzerebbe ancora di più le posizioni», spiega Orlando, «Per andare a lavorare sarà necessario il green pass, chi ha bisogno del tampone per lavorare potrà accedere a un prezzo calmierato: le sanzioni per chi non riconosce questo decreto comportano la sospensione, ma non avranno a che vedere con percorsi che portano al licenziamento». Il ministro ha lavorato senza sosta alla mediazione con i sindacati, grandi sconfitti del provvedimento, insieme – ma sul lato della maggioranza di governo – alla Lega di Matteo Salvini. I tamponi non saranno gratuiti come chiedeva Maurizio Landini, segretario Cgil, se non per chi è esentato dalla vaccinazione. Né si parla di obbligo vaccinale, l’altra richiesta di Corso d’Italia.

E infatti il contraccolpo nella Cgil è forte. Fuori dal sindacato il no al green pass è praticamente incomprensibile. Dentro si fanno sentire le voci contro il governo. Come è successo ieri all’assemblea nazionale della Fiom, il sindacato dei metalmeccanici guidato da Francesca Re David. Dal palco una delegata reggiana ha chiesto direttamente al segretario di alzare la voce, e non solo sui pass obbligatori, di «non fare uno sciopero contro la riforma delle pensioni il giorno dopo che la legge è stata varata, come accadde per la Fornero. Dobbiamo farla adesso o rischiamo di perdere credibilità nei confronti dei lavoratori». Il segretario del Pd Enrico Letta può invece esultare. I suoi avversari – anche interni – lo considerano troppo tiepido verso Draghi, ed invece ora può rivendicare che il suo partito è pienamente in linea con l’azione del premier: «Credo che il governo faccia le scelte giuste, bisogna andare avanti su questa strada, farlo con la determinazione con la quale il governo si è mosso».

Ed è vero che il metodo Draghi soprattutto piega e divide la Lega. A partire dalle camere. Mercoledì prossimo la conferenza dei capigruppo di Montecitorio affronterà la questione dell’obbligo del pass per i deputati. Al senato succederà lo stesso.

Ma la stragrande dei parlamentari chiede che i provvedimenti adottati per i lavoratori valga anche nei palazzi delle istituzioni. il decreto varato ieri lo rende obbligatorio. Da Italia viva, Pd e Forza Italia si alza il coro dei sì, chiede «di dare il buon esempio» anche il sottosegretario pentastellato Carlo Sibilia, anche se all’inizio il presidente della camera Roberto Fico era stato piuttosto incerto. Leghisti e Fratelli d’Italia ormai non sembrano propensi ad imbracciare la causa contraria.

Tranne il no pass Claudio Borghi, che aspetta il provvedimento al varco per ricorrere alla Consulta: «Non voglio che si pensi che sono contrario perché ritengo che il parlamentare debba essere privilegiato. Sono contrario all’estensione dell’obbligo a tutti i lavoratori».

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