La guerra di guerriglia del Pd contro il governo Meloni sul caso Cospito sembrerebbe, all’apparenza, destinata a durare. Almeno finché il ministro della Giustizia Carlo Nordio non riferirà le conclusioni dell’istruttoria disposta nel suo ministero per accertare se gli atti divulgati dal sottosegretario Andrea Delmastro Delle Vedove fossero effettivamente divulgabili; e finché i dem non si stancheranno di chiedere alla premier Giorgia Meloni di togliere alla delega al Dap (il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) a Delmastro e di far dimettere Giovanni Donzelli da vicepresidente del Copasir.

La risposta sembra esserci già, almeno a guardare i due, nient’affatto preoccupati: il primo si è limitato a decidere di cambiare casa interrompendo la coabitazione con il deputato (ma poi perché, se lui stesso ha specificato che le informazioni non sono state passate a casa), il secondo ieri mattina si è presentato a palazzo San Macuto all’audizione del ministro Adolfo Urso, come se niente fosse accaduto nelle ultime 48 ore.

Si attende anche che il presidente della camera Lorenzo Fontana nomini il Gran giurì che dovrà esaminare le parole di Donzelli, quelle che il Pd giudica «infamanti». Per prassi la guida spetta a un vicepresidente non appartenente ai gruppi duellanti. Quindi non dovrebbe essere Fabio Rampelli, che è di Fdi, né Anna Ascani, che è del Pd. Il forzista Giorgio Mulé si è sfilato: «Presiedevo l’aula quando i fatti sono accaduti», ha spiegato. In realtà nelle ore della bagarre, Mulé ha espresso giudizi severi su Donzelli. Ma sarebbe stato costretto a rimangiarseli per disciplina di maggioranza in un organismo composto di tre o cinque membri. Il compito toccherà al grillino Sergio Costa. La costituzione del Giurì sarà annunciata oggi in aula, per evitare che tutto il dossier slitti a dopo il voto delle regionali.

Aventino-lampo

Nel frattempo il Pd cerca di tenere alta la tensione. Ha depositato la mozione di censura individuale contro Delmastro, come annunciato dalla capogruppo a Montecitorio Debora Serracchiani. La collega di Palazzo Madama Simona Malpezzi ieri ha ritirato le truppe dalla discussione sul Milleproroghe per protesta contro Alberto Balboni (Fdi) che, su La7, aveva ripetuto le accuse oggetto di contestazione: «Il Pd andando in carcere apre una voragine alla mafia». Dopo un chiarimento fra Malpezzi e il presidente del Senato Ignazio La Russa, il Pd è tornato a partecipare ai lavori. In mezzo c’è stata una frase di Balboni che solo con tanta buona volontà può essere considerata una richiesta di scuse: «Non ho mai inteso accostare il Pd alla mafia. Ovviamente considero non censurabili le mie valutazioni espresse in aula».

Insomma, mentre Meloni blinda i suoi due alfieri, la situazione si avvita. Soprattutto all’opposizione. Dove nonostante la solidarietà espressa da tutti i gruppi contro l’accostamento «infamante» del Pd alla mafia, si procede in ordine sparso.

Lo si è visto mercoledì al senato. Matteo Renzi prima di rivolgersi alla maggioranza ha accusato il Pd di essere ondivago sul 41bis (il Pd nega) e poi ha ingaggiato un duello rusticano con l’ex magistrato antimafia Roberto Scarpinato. Il fondatore di Iv parla del 41bis come di «una grande vittoria della politica», l’ex magistrato gli dà della «faccia tosta» ricordando che quella legge arrivò dopo la strage in cui fu ucciso Paolo Borsellino e la sua scorta, dunque fu una vittoria «dello Stato e della società civile». Durissima la replica di Renzi: «Prima di venire a dare della faccia tosta spieghi le sue strane frequentazioni con Palamara ed il suo atteggiamento folle nelle istituzioni del Paese, come sa bene il presidente emerito Napolitano. Si vergogni». Il riferimento è al processo sulla presunta «trattativa Stato-mafia». I Cinque stelle abbandonano l’aula.

Questo è il clima nelle opposizioni. Che alle parole di Donzelli potevano infilare un gol a porta vuota, e invece si sono beccate fra loro, per la gioia della maggioranza. Giuseppe Conte, per esempio, ci ha pensato un giorno intero prima di dare dei «dilettanti» ai due fratelli d’Italia, che «si sono comportati come due ragazzini in gita scolastica».

Non è finita. Il Pd aspetta Nordio in aula con l’esito dell’istruttoria interna di Via Arenula a proposito degli «atti sensibili» divulgati da Delmastro. Eppure Nordio, nella sua prosa imbarazzata, alla Camera ha fatto capire che sul tema ingranerà la marcia lenta per «rispettare» il lavoro della magistratura. Infatti mercoledì mattina il deputato Avs Angelo Bonelli è corso a fare un esposto in procura perché sia accertata l’eventuale violazione del segreto d’ufficio da parte del sottosegretario. Una scelta «concordata solo con il gruppo rossoverde», spiega l’ambientalista. Che ha irritato i dem perché di fatto ha finito «per fornire un alibi al Guardasigilli». «È una sciocchezza inaudita», replica Bonelli, «l’imbarazzo politico di Nordio ci sarebbe stato comunque».

All’aria che tira vanno aggiunti i risultati di una ricerca dell’istituto Socialcom che circolavano ieri fra dirigenti del Pd, sul «sentiment» dei social sul caso Cospito: all’82 per cento negativo sul mondo anarchico e le sue ultime azioni di piazza, ma anche negativo sulla visita in carcere dei parlamentari Pd, al 91 per cento. «Tra gli utenti prevalgono le istanze di chi vuole il carcere duro per terroristi e mafiosi, rispetto a quelle legate agli aspetti umanitari», dice la ricerca in sintesi, «Anche nei confronti di Donzelli il sentimento prevalente è negativo (66 per cento), seppure in misura minore rispetto al Pd (73 per cento)».

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