Nel giorno del cordoglio generale per la morte del presidente del parlamento europeo David Sassoli, Enrico Letta cancella quasi tutti gli appuntamenti della giornata.

Alla Camera è il segretario del Pd a ricordarlo, visibilmente commosso, alla presenza di Mario Draghi, che usa parole di grande stima per il presidente europeista che ha tenuto aperto il parlamento in piena pandemia e che ha accompagnato con sapienza le scelte «sociali» della Comissione.

Fra gli incontri che saltano ce n’è uno fantasma: un appuntamento a tre del tavolo dei leader giallorossi, con Giuseppe Conte e Roberto Speranza, annunciato dalle agenzie e poi comunque smentito. Il leader Pd e il presidente dei Cinque stelle si sono visti brevemente lunedì sera per parlare, ufficialmente, «della situazione politica».

Verosimilmente, ma non ci sono conferme, si sono scambiati qualche idea sulla novità di questi giorni. E cioè che fra i parlamentari della vecchia maggioranza giallorossa cresce di ora in ora l’ipotesi della richiesta a Sergio Mattarella di accettare un bis. Cresce nei Cinque stelle, cresce nel Pd. Ed è sempre stato il «piano A» di Art.1. Le parole di Massimo D’Alema su Draghi al brindisi di fine anno del partito hanno avuto il merito di dire apertamente la “non preferenza” per l’ascesa del premier al Colle.

Ieri sera si sono incontrati i deputati del M5s, domani sera, in videoconferenza, Conte riunirà i suoi gruppi. C’è una pattuglia di senatori che spinge per formalizzare la richiesta a Mattarella ed è convinta di interpretare le vere propensioni dei colleghi.

Movimenti democratici

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Fatte le differenze, dovute ovviamente allo stato di salute del Pd rispetto agli scossoni di febbre che percorrono il “movimento”, anche il partito di Letta vive la stessa condizione.

Ieri il leader ha riunito la segreteria, ma l’emozione per la scomparsa di Sassoli ha preso il sopravvento sul confronto e ridotto l’appuntamento a scarsi venti minuti. Domani ci sarà la camera ardente.

Per questo la riunione dei gruppi parlamentari con la direzione del partito è rimandata a sabato 15 gennaio. In quell’appuntamento Letta ascolterà i suoi e si farà dare un mandato a trattare insieme alle due capigruppo Simona Malpezzi e Debora Serracchiani. Non su un nome, ma su un identikit.

Autorevole, votabile a larga maggioranza, accompagnato da un patto di fine legislatura (condizione imprescindibile per i parlamentari), e ancora europeista, integro per storia politica e persino personale (che è un modo per dire che il candidato del Pd non sarà mai Silvio Berlusconi).

A quell’assemblea Matteo Orfini, a nome della sua corrente proporrà al segretario di chiedere a Mattarella di accettare un reincarico, numeri dei contagi alla mano.

La pensano come lui anche molti altri, lo hanno detto apertamente Stefani Ceccanti, Andrea Romano e Walter Verini. La convinzione generale è che anche Draghi, una volta accertato di non avere una maggioranza per il Colle, troverà il modo di far capire che per restare a palazzo Chigi gli è indispensabile al Quirinale il “garante” che un anno fa l’ha chiamato a raccogliere la difficile eredità di Conte in piena pandemia.

Da ambienti vicini al Colle arriva l’eco di qualche inizio di abboccamento, anche se non diretto. Ma si tratta di movimenti impalpabili, inverificabili.

Ma è su questo punto che alcuni parlamentari vicini a Letta, e anche alcuni di Base riformista, sottolineano l’errore del ragionamento dei compagni di partito.

Per Letta Mattarella è fra i presidenti della Repubblica ideali, naturalmente, ma la proposta del Pd dovrà essere «praticabile e non velleitaria». Epperò Berlusconi, arrivato ieri sera a Roma e già in riunione permanente con i suoi a Villa Grande, lancia chiari segnali del fatto che non voterà Mattarella, proprio come nel 2015 quando ha percepito come provocatoria la scelta di Matteo Renzi (e infatti ha rotto il Patto del Nazareno).

Una posizione che potrebbe essere una prima scelta tattica, quella dell’ex Cavaliere. Comunque stando così le cose, al momento non è possibile neanche provare a rivolgere la richiesta all’attuale presidente della Repubblica: i numeri fin qui non ci sarebbero.

È iniziata dunque la partita a scacchi. Berlusconi, che ha lasciato filtrare parole definitive sulla corsa di Draghi («Con lui al Colle si andrebbe subito al voto. Non appoggeremo nessun governo se non presieduto da lui»), aspetterà di capire la prima mossa di Letta, che pure è un giocatore senza pedine, visto che «controlla appena il 12 per cento dei parlamentari», come ama ricordare per sottolineare l’indebolimento subìto dal Pd nella stagione renziana, scissioni comprese.

E allora il segretario Pd, che a differenza dei suoi prende più sul serio il tentativo dell’ex Cavaliere, potrebbe anche saltare le prime tre chiame. Mettendo in conto anche di chiedere ai suoi di uscire dall’aula: per lasciare il centrodestra a offrire la prova d’amore al suo vecchio leader, senza correre il rischio di eleggerlo. Ma anche per evitare scherzi, dai suoi e dalla parte degli sbandati dei M5s.

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