Dopo la sentenza, sabato il presidente riunisce i capigruppo della maggioranza in regione. Lunedì sbarcano a Napoli Taruffi e Baruffi, ma per placare chi chiede la fine del commissariamento. L’alleanza Pd-M5s è certa, ma ora serve il nome. Schlein in silenzio
«Dopo il pronunciamento dell’Alta, anzi Altissima Corte, si apre in Italia una stagione politica di alto valore ideale, morale e istituzionale… Ma nessuno si faccia distrarre dal lavoro». Quando al Nazareno giovedì mattina hanno letto il comunicato sarcastico di Vincenzo De Luca, hanno capito l’antifona: «Eccolo là, cominciamo con le condizioni».
È così, eccolo qua. Il presidente della Campania ha preso atto che la Consulta ha sbarrato la strada del suo terzo mandato, e per ora sorveglia la sua strabordante vena caustica. Ma per ora. Dopo solo qualche sberleffo verso la Corte, ha stilato un elenco di «prime scadenze» della sua agenda regionale. Ventuno, dalla «consegna nuovi treni sulla Circumvesuviana» alla «trattativa per nuovo asse tangenziale verso zona ospedaliera collinare».
Segue avviso: «Vi sarà mensilmente l’aggiornamento dell’agenda dei lavori». Sono due messaggi in uno: alla sua maggioranza in regione, per ora bulgara, non sia mai che ora che si sa che non sarà lui il prossimo presidente qualche consigliere si metta sul mercato con la destra. E al futuro candidato presidente, quello che prenderà (leggasi: proverà a prendere) il suo posto: «Il programma ce l’hai già scritto, devi portare a termine quello che io ho messo in cantiere».
Iniziamo bene. In Campania l’alt della Corte è stato il bang dello starter. L’alleanza fra Pd e M5s è cosa fatta da mesi, ora bisogna cacciare fuori il nome. Spetta ai Cinque stelle: perché, spiegano loro, «di questa tornata è l’unica regione in cui possiamo chiedere il candidato».
Giovedì il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi era a Capodimonte a un dibattito con Roberto Fico, il nome numero uno, e Antonio Misiani, commissario del Pd campano. Manfredi è ogni giorno di più il «fortissimo punto di riferimento» del centrosinistra in regione, cioè quello che fino a mercoledì era De Luca (che infatti anche per questo non lo digerisce).
Manfredi è un gran tessitore, garbato, attento. Nel dibattito ha spiegato che «bisogna lavorare per una coalizione ampia che parta dai riformisti, dai moderati e arrivi fino alla sinistra», eccetera, «partendo anche dall’esperienza di questi ultimi dieci anni». È una formula elegante per dire agli uni e all’altro: si va oltre De Luca, ma con De Luca.
Gli sherpa del Nazareno
A sua volta De Luca ha fatto sapere, con rulli di tamburi, che domani riunirà i capigruppo della sua maggioranza: i fuochi artificiali sono assicurati. Lunedì invece a Napoli sbarca la coppia degli sherpa del Nazareno: Igor Taruffi, capo dell’organizzazione, e Davide Baruffi, capo degli enti locali. Non sono in programma contatti con il presidente.
Anzi chi lavora con il presidente diceva che fin qui contatti con il Nazareno «zero». Meglio, la prima mossa va meditata perché non sia un passo falso. Perché non va mai dimenticato che se il presidente non è più in grado di farsi rieleggere, resta in grado di far fallire la rielezione del suo successore.
Del resto la ditta Taruffi&Baruffi ha da risolvere un problema a casa. Il Pd campano ha un commissario, appunto Misiani, ma i “deluchiani” reclamano la fine del commissariamento prima del voto. Hanno un candidato «non di rottura», il votatissimo navigatissimo e taciturnissimo Mario Casillo, capogruppo Pd alla regione.
Vicino a De Luca, ma non troppo, lontano da Schlein, ma dialogante. Misiani per ora parla solo della futura alleanza: «Ora abbiamo la responsabilità di aprire tutti insieme, anche con chi ha guidato la Regione in questi anni e con il partito campano, una pagina nuova, lavorando al progetto e alla coalizione di governo per la prossima legislatura, nella consapevolezza che quella campana sarà la sfida più importante della prossima tornata di regionali». Vero.
Ma la segretaria non ha intenzione di “concedere” il congresso prima del voto, la cui data peraltro ancora non c’è: perché vuole mantenere un controllo sulle liste campane.
E questo non piace a De Luca, che continua a dire che «il candidato si sceglie qui, non a Roma», che vuol dire che si sceglie con lui, non contro di lui. Potrebbe organizzare una lista di suoi, a sostegno del centrosinistra, per «pesarsi» nella prossima maggioranza, dunque nella prossima giunta. In realtà per lui più che il «chi» conta il «cosa» e il «come».
Sul «chi», spiegano i suoi, «crede che Fico non abbia il fisico, meglio Sergio Costa», l’ex ministro grillino. Il «cosa» non è uno scambio, non sono i posti per sé o per il figlio di cui tanto si parla, perché, spiegano sempre i suoi, «se vuole tornare a fare il sindaco di Salerno non deve chiedere il permesso a nessuno, e se Piero vuole ricandidarsi alla Camera non lo chiederà al padre».
Il «cosa» è il «come»: vuole un candidato che non rinneghi l’èra De Luca. I Cinque stelle hanno già attenuato gli attacchi, ricambiati. Ma possono addirittura “rivendicare” la stagione deluchiana? E Schlein può rimangiarsi l’arringa del suo primo discorso da segretaria, e quella promessa, «Non vogliamo più vedere capibastone e cacicchi»?
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