Ovunque vada, con un sorriso disarmante – «piacione», dicono i suoi amici, ma non troppo – Stefano Bonaccini spiega che il suo nuovo libro «non è un programma elettorale», si tratta solo di «appunti sparsi, scritti sui biglietti che mi restano in tasca ogni giorno». Solo che il titolo Il paese che vogliamo suona bene a sinistra. E ai più anziani ricorda qualcosa: il titolo di un altro libro, L’Italia che vogliamo, con cui nel 1995 Romano Prodi ha illustrato la svolta del paese, la nascita di un centrosinistra che avrebbe vinto due volte (fin qui le uniche due volte), e che è diventato persino il nome dei primi comitati dell’Ulivo, poi Comitati Prodi.

Gli smemorandi

La coincidenza viene liquidata come una casualità. Del resto la sinistra ormai versa in una condizione smemoranda cronica. Quella che ha consentito a Matteo Renzi di intitolare senza complessi Controcorrente il suo libro, come quello di Massimo D’Alema di otto anni fa. E al segretario del Pd Enrico Letta di battezzare Agorà il suo progetto di nuovo Pd anche se quattro anni prima Goffredo Bettini aveva chiamato così la sua proposta di partito, e anche in questo caso c’era un libro.

Durante le presentazioni Bonaccini assume una postura umile, a dispetto della foto da rockstar della quarta di copertina. «Il mio libro non è un manifesto elettorale. È una raccolta di idee di cose fatte, progettate, pensate in questa terra», l’Emilia-Romagna, – di cui racconta gli sfavillanti traguardi a partire da Tecnopole, il Centro meteo europeo e la Data valley che renderà Bologna una capitale dei big data – «proposte che possono essere prese in considerazione per tutta l’Italia». Ieri alla Stampa ha ripetuto che la sua regione è «una locomotiva d’Italia e d’Europa».

Il tour

Proposte per il paese, dunque. Per questo il monumentale tour delle presentazioni dà la sensazione di essere qualcosa di più. Perché Bonaccini, che sul punto si schermisce, è di fatto già il candidato al prossimo congresso dem, quando sarà. È stato scelto al posto di Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, perché considerato il nome meno divisivo della corrente Base riformista.

In realtà nel Pd della pax lettiana nessuno pronuncia la parola «congresso». Si attende l’esito delle amministrative del 3 e 4 ottobre. Se Letta vincerà la sua travagliata prima scommessa elettorale – ovvero guadagnerà il suo seggio a Siena e il centrosinistra conquisterà l’asse Napoli-Roma-Bologna – punterà dritto verso le elezioni politiche (e sarà lui a fare le liste elettorali). Se qualche stazione salta, dopo l’elezione del Colle, la parola congresso sarà la prima a essere pronunciata. Anche perché il segretario ha detto che se perde a Siena «ne trarrà le conseguenze».

Per ora però tutti fermi. Spariti dal radar del dibattito interno il ministro Dario Franceschini, leader di Areadem, e il ministro Lorenzo Guerini, leader di Base riformista. Ad andare in avanscoperta è Bonaccini, con il suo attivismo travolgente. Modenese, due volte presidente dell’Emilia-Romagna, è stato bersaniano e poi renziano. Alla candidata renziana alle primarie bolognesi Isabella Conti era vicino, con discrezione. Ma ha vinto Matteo Lepore, area sinistra Pd. Non che Bonaccini sia scoperto a manca: ha chiamato a fargli da vice alla regione Elly Schlein, leader della lista Coraggiosa e vicina alle sardine.

Il tour di presentazioni diventa dunque una formidabile campagna preventiva, sotto la supervisione di Andrea Rossi, già capo dell’organizzazione del Pd di Matteo Renzi (dell’allora leader diceva «è il nostro Higuain»). Dal 15 luglio, la prima a Bologna, le tappe sono state 20 in 22 giorni, «un record» spiegano i suoi, quasi tutte in Emilia-Romagna, con alcune puntate fuori regione (in Liguria con Giovanni Toti, in Toscana con la segretaria regionale del Pd Simona Bonafè, in Veneto negli ultimissimi giorni). Ma siccome viene considerato un uomo «del nord» questa settimana, approfittando delle vacanze in Puglia con la famiglia, in agenda ha iniziative con il presidente Michele Emiliano e il sindaco di Bari Antonio Decaro. Dopo Ferragosto tornerà in Romagna, batterà i comuni al voto (Rimini, Ravenna, Cesenatico, Cattolica). A settembre le feste del Pd. Richiestissimo: dalla Toscana, dalle Marche, dalla Liguria. Sarà a Modena, la sua città, con Romano Prodi. Alla festa nazionale del partito a Bologna, il 7 settembre, salirà sul palco con la ministra Mariastella Gelmini. Ma la sua vera missione è tessere la rete dei sindaci: sarà a Milano con Beppe Sala, a Bergamo con Gori, poi Brescia e Cremona, a Lodi con il ministro Guerini. «A oggi abbiamo riempito quasi tutto settembre e ottobre con circa 40 date, che si sommano alle venti già fatte, ma stiamo guardando al sud per un po’ di tappe: ci sono molte richieste, dobbiamo selezionare per non interferire con l’attività in regione», spiegano i suoi. Tutte attività «in economia e autofinanziamento», a carico suo o della casa editrice Piemme, o degli organizzatori.

Il nuovo correntone

Dall’altro lato del Pd anche le variegate anime della sinistra, sparse in una frantumaglia di correnti, provano a mettersi insieme in un nuovo correntone. Non tutte sono interessate: sì Dems di Andrea Orlando e Peppe Provenzano, sì Campo democratico di Goffredo Bettini (che non vuole essere definita corrente), che guardano a Radicalità per Ricostruire di Gianni Cuperlo. Restano alla finestra quelli di Prossima (ex zingarettiani ma senza Zingaretti). Invece francamente se ne infischiano i Giovani turchi di Matteo Orfini, che liquida la questione: «Noi stiamo bene da soli. Con i contiani del Pd non c’entriamo nulla».

La réunion delle sinistre si schiera più esplicitamente a sostegno a Letta.

E guarda anche alla sinistra fuori dal partito, con lo stesso fortunato schema di Piazza Grande, il movimento che ha portato Zingaretti alla segreteria nel 2019. L’annuncio è arrivato a metà luglio da Goffredo Bettini alla festa dell’Unità di Roma. Lui stesso ne ha poi discusso pubblicamente con Orlando il 29 luglio, ancora a Roma, alla Villetta di Garbatella, un tempo sede storica del Pci, ora quartier generale della sinistra «extra» Pd impegnata a sostegno di Roberto Gualtieri nella lista Sinistra civica ecologista. «Occorre rimetterci in cammino», spiega Bettini, «il Pd è un partito di centrosinistra ma ho la sensazione che da un po’ di tempo la parola sinistra sia stata messa in ombra. Il partito è pluralista e sceglierà nel congresso la sua strada. Ma la sinistra deve costruire una prospettiva, una sua cultura, deve pesare di più». C’era anche Massimiliano Smeriglio, europarlamentare indipendente nel gruppo Pd, lì padrone di casa: «L’obiettivo è ridare voce alla sinistra, che oggi è fatta da iniziative troppo sparse. Urge riprovarci, mettere insieme un senso comune, riunificando quello che si muove, ritrovando una connessione popolare». E «urge riunire la diaspora della sinistra», anche secondo Emma Petitti, riminese, già assessora al Bilancio di Bonaccini, «oggi la sinistra ci chiede di ritrovare una casa e una rappresentanza, sapendo che c’è una sinistra che noi non siamo in grado di rappresentare». Per ora non si parla di leader. «La ricerca di una leadership ora, senza un pensiero comune, sarebbe ridicola», secondo Bettini. «Si costruirà più avanti, nel vivo di un processo politico». Attenzionatissimo l’ex ministro del Sud e ora vicesesegretario del Pd Peppe Provenzano. Che però, proprio per il suo ruolo, si tiene a distanza dalla discussione. Riferimento indiscusso è Andrea Orlando, che spiega: «Serve una sinistra del Pd organizzata, coesa come corrente politica, che superi la frammentazione attuale». Con un comune denominatore: «Guardare a quelli che lavorano con le mani, alle qualifiche professionali meno alte, ai poveri e ai giovani. Vocazione maggioritaria è andare a prendere quei voti. Oggi i giovani non ci votano perché lasciamo un pianeta ai limiti del collasso e i poveri non ci votano perché sul reddito di cittadinanza abbiamo detto che chi lo prende vive sdraiato sul divano». È quello che pensa l’ala «riformista», quella che accusa Letta di essere troppo tiepido con Draghi e troppo entusiasta di Conte. «Le differenze fra noi non sono la provenienza di partito, né la distanza fra credenti e laici», ragiona Orlando, «riguardano i temi economici e sociali. Il Pd è nato senza sciogliere questo nodo, in una temperie di ottimismo in cui si pensava che la globalizzazione avrebbe risolto ogni conflitto. Non è andata così. Una parte del Pd va a caccia di moderati: ma i moderati ormai sono più quelli che stanno in parlamento che quelli che stanno fuori».

Asse Bologna-Roma-Napoli

Gli ex zingarettiani (Stefano Vaccari, Nicola Oddati, Marco Furfaro, Valentina Cuppi) per ora vengono dati in avvicinamento a Rigenerazione democratica, neonata correntina dell’ex ministra Paola De Micheli. Il tam tam della tribù descrive l’ex ministra dei Trasporti determinata a lanciarsi alle primarie, quando sarà. Del resto è la maniera più sicura per non essere esclusa dalle liste.

Qualche eco della discussione arriverà dalle feste, in giro per il paese, ma nel rispetto della pax lettiana. Poi ci saranno le amministrative. Se vanno bene, andrà bene al segretario e con lui anche al correntone della sinistra a cui sono riconducibili, in qualche maniera, i principali candidati da cui dipende la scommessa del Nazareno: Matteo Lepore a Bologna, Roberto Gualtieri a Roma, Gaetano Manfredi a Napoli. Come il segretario, tutti ultrà dell’alleanza con i Cinque stelle. A differenza di Stefano Lorusso, candidato sindaco a Torino, vicino a Base riformista. Che è anche quello che ha meno chance di vittoria.

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