Sono giorni di silenzio assordante dentro il Partito democratico, almeno in pubblico. In privato, invece, la discussione monta. Ad agitarla è stata l’intervista incendiaria del veterano ex senatore Luigi Zanda alla Stampa: nessuno degli attuali vertici del partito, però, si è fatto carico apertamente di raccogliere la sua proposta di congresso straordinario da celebrare entro fine anno in cui definire la linea in politica estera alla luce dei nuovi stravolgimenti internazionali.

È un fatto che la linea sul tema della difesa europea della segretaria Elly Schlein, e la sua parziale messa in discussione anche degli orientamenti dei Socialisti europei, abbia fatto storcere il naso a una buona parte dei dem, soprattutto nella componente riformista che ha fatto capire– con il coordinatore di Energia popolare, Alessandro Alfieri – che il timore è l’isolamento del Pd in Europa. Oltre a Zanda, anche Enrico Letta, Romano Prodi e Paolo Gentiloni hanno aperto al piano di Ursula von der Leyen per la difesa europea, che è un primo passo da non bocciare in toto.

Eppure al momento la segretaria, non sembra doversi preoccupare per il suo futuro, e resta piuttosto libera di andare avanti per la sua strada.

La strategia della segretaria

Con il suo «no al finto pacifismo di Trump», ma no anche all’Europa «se vuole continuare la guerra», Schlein guarda soprattutto fuori dai dem, con l’idea di non lasciare le piazze pacifiste solo al Movimento 5 stelle e nel tentativo di non escludere del tutto un’asse di massima con Giuseppe Conte.

Certo, la strada non ha ottenuto il placet interno e anzi viene vissuta come una forzatura dalla minoranza del partito, soprattutto nella misura in cui pone il Pd a distanza dai cugini spagnoli e francesi. Tuttavia Schlein ha dalla sua un elemento inequivocabile: nessun competitor all’orizzonte che possa mettere in discussione la sua leadership. L’unico timore è che l’attuale magma interno si trasformi in sabbie mobili, capaci di inghiottire la segretaria quando meno se lo aspetta. In altre parole, come fa capire un esponente in linea con Schlein, il rischio è che la guerra di logoramento la porti a un passo falso che metta davvero a rischio la guida del partito.

Per questo una parte dei suoi sostenitori consiglia la contromossa. «Accettiamo di fare il congresso, tanto lo stravinciamo. Così si evita l’effetto logoramento», spiega un esponente dell’area più vicina alla segretaria. La convinzione è che il vento non sia cambiato e che il feeling tra Schlein e gli elettori delle primarie le garantirebbe di zittire le critiche interne. Lei, dal canto suo, ai suoi avrebbe predicato l’arte della prudenza.

Sul fronte opposto, la componente di Base riformista ribolle e riflette.

Gli oppositori

Il riferimento rimane il presidente del Copasir Lorenzo Guerini, che però preferisce mantenere un profilo più defilato, mentre la stella di Stefano Bonaccini si è appannata – almeno internamente – ora che il suo posto è a Bruxelles. Non è un mistero che il nome a cui i riformisti guardano con maggiore stima e interesse è quello dell’ex premier Paolo Gentiloni, che su Repubblica ha scritto che «sulla sicurezza dobbiamo fare miracoli, perché ci sono decenni di delega agli americani da recuperare» e «serve la consapevolezza che solo l'Unione europea, per quanto contraddittoria e incompiuta, può tenere in piedi l'ordine multilaterale» e «difendere la pace e la nostra libertà». Parole condivise da tutti i critici della linea Schlein, che hanno richiamato il verbo gentiloniano per giustificare il loro silenzio: «Poco da aggiungere, ora bisogna pensare all’Europa», è una delle risposte.

Tuttavia una ipotetica successione di Gentiloni a via del Nazareno è tutta da costruire e lui per primo non si presterebbe certo a manovre improvvisate. Tanto più che il suo vero sogno rimane il Quirinale e, in vista di un obiettivo tanto alto, passi falsi non sono consentiti.

Inoltre, il timore è quello speculare e contrario a quelli che consigliano a Schlein di accettare la sfida di Zanda. Nessuno, dell’attuale minoranza dem, metterebbe la mano sul fuoco sul fatto che un congresso straordinario si potrebbe vincere: troppo aleatorio il meccanismo delle primarie, come ha insegnato il passato.

Dunque l’unica certezza è una ancora più profonda spaccatura interna tra la linea della segretaria, che si sta dimostrando sempre più autonoma nelle scelte e poco disposta a farsi consigliare dagli “alti papaveri”: ascolta, ma poi decide da sola. Eppure la questione della difesa europea – su cui l’unico punto comune è il fatto che «riarmo» sia un pessimo termine per definirla – mette sul tavolo del Nazareno un problema di ben più ampio respiro rispetto alle diatribe interne.

La certezza dei moderati tra i dem è che il segreto per allargare la base elettorale non sia quello di guardare agli estremi ma al centro, in un campo contendibile e aperto ma che ha come parola d’ordine «l’europeismo», come baricentro nel mezzo degli stravolgimenti internazionali ma anche come unica alternativa al governo Meloni. Intanto l’attesa è per la piazza europeista del 15 marzo, lanciata da Michele Serra su Repubblica e a cui Schlein ha aderito. Un momento che dovrebbe far emergere, anche tra i dem separati in casa, gli elementi in comune.

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