La crisi dei rincari autunnali in bolletta ha stanato la politica italiana sulla parte energetica della transizione ecologica, vissuta quasi nel disinteresse dei partiti sotto la gestione Draghi. La linea a volte urticante del ministro Roberto Cingolani non sembra frutto dell’«ingenuità comunicativa da studioso» che gli ha attribuito Giuseppe Conte e ha avuto almeno un merito: ricordarci la complessità di questo processo e il fatto che certi conflitti esistono, anche se la politica li ignora.

Lo ha fatto con parole brutali (il famoso «bagno di sangue»), imprudenti e a tratti pure offensive (l’ambientalismo «radical chic»), però almeno ha provato a mettere sul piatto un tema che i partiti della maggioranza hanno preferito evitare, accettando su ambiente e sostenibilità della ripresa un quasi totale commissariamento, per assenza di strumenti, competenze, elaborazione. In questo modo è stato assegnato un terzo dei fondi europei per la ripresa: senza dibattito.

Le posizioni dei partiti

Poi, appunto, è arrivata la sveglia sul prezzo di luce e gas, anticipata dal surreale e confuso dibattito sull’atomo, e ambiente ed energia sembrano tornati nella politica italiana. La Lega l’ha virata sul nucleare, che per la situazione italiana è un ottimo modo per parlare di energia senza parlare di niente, poi sui rapporti con la Russia, sul ruolo strategico del gas, sulla decarbonizzazione come «corsa affannata».

Il Movimento 5 stelle ha messo in piedi la sceneggiata della convocazione del ministro per avere rassicurazioni su un tema che non esiste, sempre il nucleare.

E poi c’è il Partito democratico, che in teoria sarebbe, insieme al M5s, custode dei temi ecologici nella maggioranza. Enrico Letta ha commentato con un tweet laconico, «questo aumento delle bollette è assolutamente eccessivo, qualunque siano le ragioni globali che lo provocano», accodandosi alla richiesta di ridurre gli oneri di sistema. Nessuna lettura del contesto, nessuna visione autonoma sulla transizione ecologica come soluzione e non causa univoca dei rincari, e colpisce la prudenza di un segretario che altre questioni identitarie ha scelto di prenderle di petto.

La responsabile ambiente del partito, Chiara Braga, conferma la poca voglia di esporsi: «Questo aumento è insostenibile quando dobbiamo spingere su ripresa e consumi, per questo chiediamo al governo di intervenire per calmierare». Si, ma lo spirito ecologista del Pd? «Le nostre priorità sono state la risposta alla pandemia e la ripresa, nella quale deve essere centrale la sostenibilità, che per noi è ambientale e sociale. Questo rende più complesso il nostro messaggio».

Il giudizio del Pd su Cingolani rimane positivo: «Bene il lavoro sulla semplificazione delle procedure e la riorganizzazione del ministero, per noi ha posto le basi giuste», dice Braga. Insomma, lasciamolo lavorare. Il problema è che con la vaghezza di Pd e M5s la transizione ecologica rimane politicamente incustodita, soprattutto con l’interpretazione difensiva che Cingolani ha dato al ministero.

Era stato creato sul modello di quello francese, che negli ultimi anni è stato turbolento e ha cambiato spesso occupante. La sua funzione è di essere in rapporto dialettico col resto del sistema, portare la sostenibilità nella mediazione con gli altri interessi del paese.

Invece, proprio con la riorganizzazione elogiata dal Pd, il MiTe è diventato di fatto un ministero dell’energia, perfettamente organico al sistema di partecipate statali e relativi interessi legati allo status quo, che una certa lettura dei rincari potrebbe rafforzare.

In questo contesto, sarebbe utile avere uno o due partiti in grado di presidiare la transizione ecologica. Cosa che non sta accadendo, col rischio che i sussulti autunnali ci leghino ancora di più alle fonti fossili (gas compreso) che abbiamo tutto l’interesse (oltre che l’impegno) a superare.

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