Tra le tante parole spese per analizzare il fenomeno Schlein, una cosa risulta certa per tutti i commentatori, sia i pochi critici sia i molti fiduciosi: la necessità di tenere unito il partito, come dimostra plasticamente l’esito dell’Assemblea nazionale e la presidenza di Bonaccini. L’unanimità di questo auspicio non è difficile da capire, avendo buoni motivi tattici e simbolici.

Tatticamente mantenere l’unità vuol dire non spaccare un partito che è già numericamente in difficoltà, sia dal punto di vista interno (gli iscritti) sia da quello esterno (i votanti).

Simbolicamente Schlein non può che rivendicare la massima cura nei confronti dell’unità, anche per evitare di farsi avvelenare i pozzi da una minoranza interna piuttosto agguerrita e diffidente. Tutto corretto, senza dubbio. Eppure mi chiedo quale sia il prezzo da pagare per tener fede al mito dell’unità del partito.

L’unità del partito e la confusione della sinistra

Andiamo con ordine. Il modo migliore per descrivere il dubbio che mi arrovella è rifarsi al dibattito suscitato in questi giorni dal libro di Aldo Schiavone dedicato al futuro della sinistra (Sinistra! Un manifesto, Einaudi 2023).

Nutro per l’autore un’ammirazione intellettuale che è pari al disaccordo nei confronti della tesi che sostiene in queste pagine. Che è sostanzialmente questa: la nuova sinistra deve far valere la sua universale istanza di emancipazione congedandosi definitivamente dall’eredità del socialismo (nelle sue tante varianti) e dalla convinzione che l’elemento strutturale della critica del mondo esistente si possa trovare nel conflitto di classe e nel rapporto tra capitale e lavoro. Una sinistra postlaburista, che conservi il suo bisogno di critica rinnovandone però il contenuto politico.

Ora, a leggere questa tesi, non si capisce se giunga troppo tardi o troppo presto. Perché a me pareva chiaro invece che la crisi del Pd e la vittoria della Schlein fossero legate proprio al fallimento di un progetto di sinistra postlaburista, non il contrario.

Il Pd – come tutte le sinistre riformiste occidentali – ha insistito molto su questo vago formalismo di un’emancipazione che sa ciò che non è più – lotta di classe e socialismo – ed è disposto perciò ad assumere qualunque fattezza.

Un partito genericamente progressista e fondato sulla mitologia del riformismo, in cui il bisogno di cambiare il mondo esistente può significare in un periodo votare il Job Acts, in un altro periodo avere come segretario Bersani, in un altro periodo ancora stare nel governo Draghi.

Ecco, la tesi di Schiavone – che qui è solo un pretesto per esprimere una preoccupazione politica (ci sono per esempio anche delle interessanti tesi costruttive con cui converrà confrontarci successivamente) – sembrano sinistramente (è proprio il caso di dirlo) somiglianti a quelle che hanno orientato le politiche neoliberiste del Pd.

Un sentimento di vergogna nei confronti della tradizione socialista e una convinzione profonda che la condizione di chi ha di meno si possa migliorare soltanto dando di più ha chi ha di più. Non esisterebbero interessi contrapposti nella società, ma interessi prioritari (quelli delle imprese) la cui soddisfazione avrebbe come effetto indiretto anche quello di migliorare le condizioni dei lavoratori.

Il rischio di eludere il peccato originale del Pd

Perché racconto velocemente tutto questo? Per sollevare un dubbio, in questa ondata di unanimismo che circonda questi primi passi del nuovo Pd. Siamo certi che questo richiamo all’unità – al di là delle inconfutabili motivazioni tattiche e simboliche – non possa avere come conseguenza quella di continuare a eludere il peccato originale del Pd? Questo peccato originale ha un’origine culturale, prima ancora che politica.

E per questo non può essere cancellato nemmeno dalla buona volontà di una leader (a meno di non essere diventati completamente populisti, cioè di immaginare che il rapporto tra popolo e leader si possa portare avanti senza alcun meccanismo di mediazione).

Per prendere sul serio tale dubbio dobbiamo porci così un’ulteriore domanda: che cos’è che tiene insieme ciò che tutti in questi giorni vorremmo restasse unito? Che cosa tiene insieme Bonaccini e Schlein (o meglio, ciò che loro rappresentano)? Avanzo due ipotesi di risposta.

La prima risposta potrebbe essere che quell’unità si fonda sulla comune convinzione della necessità di una critica al mondo così com’è, come se accordarsi su cosa significhi concretamente tale bisogno di critica non sia poi così importante e un partito possa cambiare ogni volta la propria identità politica e culturale.

Che insomma le differenze programmatiche – a partire dalla distanza siderale che tutti noi vorremmo vedere tra il partito di Schlein e quello di Renzi, per dire – sono proposte sovrastrutturali, mentre il valore non negoziabile che rende il Pd una casa comune è un’imprecisata sete di cambiamento. Se si accetta questa risposta, l’unità è in effetti l’unica cosa che conta.

La seconda risposta è invece che bisognerebbe evitare un’unità formale tra opposte visioni del mondo e cercare piuttosto di capire se c’è una reale convergenza sull’idea di società per cui lottare. Insomma, pensare all’unità come un mezzo e non come un fine e, piuttosto, concentrarsi sulla volontà di costruire una sinistra che abbia le idee chiare sulla propria identità, e non solo sulle proprie correnti da tenere insieme.

Per tornare alle tesi di Schiavone da cui sono partito: fino a quando si può tenere insieme chi crede ancora nella necessità di una sinistra laburista con chi crede che la sinistra per sopravvivere debba rinunciare alla tradizione socialista e alla centralità del conflitto tra capitale e lavoro? Il mio dubbio diventa un’inquietudine profonda.

Temo che non sia più tempo per un partito unico che abbia la presunzione di contenere in sé una sinistra riformista, postsocialista e postlaburista insieme a una sinistra progressista, socialdemocratica e laburista. E sono persuaso che la vittoria della Schlein sia nata da un’esigenza di chiarezza, molto più che di unità.

Nei giorni in cui tutti festeggiano questa ritrovata unità, avanzare un sospetto può sembrare inopportuno. Ma può essere molto utile. Se un partito deve avere qualcosa che somigli a un valore non negoziabile (orrendo modo di dire), non è certo all’unità che penserei, ma a un’idea di società condivisa.

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