Il leader della Lega, Matteo Salvini, ha un obiettivo ambizioso: raccogliere un milione di firme a sostegno dei sei quesiti referendari che il Carroccio sostiene insieme al partito radicale.

I temi oggetto di referendum sono sei: responsabilità civile dei giudici, separazione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante, custodia cautelare, abrogazione della legge Severino, abolizione della raccolta firme per le liste dei magistrati alle elezioni al Csm, voto per i membri non togati dei consigli giudiziari. L’annuncio avviene nel luogo storico della sede di largo Argentina, con alle spalle una gigantografia di Marco Pannella, e Salvini spiega che non lesinerà uomini e forze, mobilitando uno schieramento di 3000 banchetti a partire dal 2 luglio, con 800 sindaci e 400 amministratori comunali pronti a convalidare le firme. Il partito radicale, invece, metterà in campo la sua decennale esperienza e la diffusione di radio Radicale. «Saremo in tutte le località di villeggiatura, dalle Alpi a Lampedusa, Ferragosto compreso», dice il segretario leghista, insieme al segretario radicale Maurizio Turco, mentre annuncia che i due partiti «pur con storie così diverse» distribuiranno materiale comune a sostegno dei quesiti.

Quella che dovrebbe partire in estate, quando anche la stretta della pandemia dovrebbe allentarsi, è una mobilitazione in grande stile con cui la Lega punta a ritornare nelle piazze e riconquistare presa su un elettorato sempre più insidato da Fratelli d’Italia. Per farlo, la leva è il tema della giustizia, che non è mai stato cavallo di battaglia leghista ma a ben ricordare è stato l’inciampo che ha fatto cadere gli entrambi i governi Conte.

La mossa leghista, pur se ormai da tempo annunciata, innervosisce sia il governo che la maggioranza. Salvini ripete che il suo è un appello a tutte le forze politiche e che «questi referendum vogliono essere uno stimolo al parlamento e un aiuto anche al ministro Cartabia, su cui contiamo per accelerare sulle riforme della giustizia».

Nessun emendamento

Eppure, politicamente la scelta rischia di mettere in difficoltà il percorso a tappe forzate di approvazione dei ddl penale, civile e ordinamento giudiziario che fanno parte del pacchetto di riforme della giustizia che sono uno dei capisaldi del Recovery plan.

Il calendario approvato a cui Cartabia deve attenersi prevede l’approvazione della legge delega al governo entro fine 2021 e dei decreti delegati entro la fine del 2022. Per farlo ha chiesto la collaborazione di tutti i gruppi parlamentari della maggioranza: la Lega non ha intenzione di sfilarsi ma di mettere pressione dall’esterno mobilitando la piazza, invece che presentando i quesiti referendari sotto forma di emendamenti.

L’intuizione sembra questa: la giustizia è tema al centro del dibattito pubblico a causa anche della crisi della magistratura e la Lega punta a trasformarla in un tema identitario e mediatico attraverso i referendum. Un risultato che non sarebbe ottenibile attraverso il solo lavoro in commissione Giustizia, impelagandosi negli emendamenti ai testi base che poi verranno comunque assorbiti dal maxi emendamento del governo.

A far intuire la mossa è il fatto che tutti i quesiti referendari potrebbero essere incorporati, sotto forma di emendamenti, nel ddl penale e nel ddl di riforma dell’ordinamento giudiziario. Per il ddl penale – in cui rientrerebbe il referendum sulle misure cautelari – i termine per gli emendamenti è scaduto e la Lega non ha presentato un emendamento sul punto.

Tanto che Enrico Costa di Azione, il quale ha presentato un emendamento che che esclude la custodia cautelare per pericolo di reiterazione per gli incensurati, salvi i casi di gravi reati, ha sfidato i leghisti: «I temi delle proposte referendarie annunciate oggi fanno parte del pacchetto di emendamenti di Azione. Basta votarli». Gli altri quesiti referendari rientrano nel ddl sul Csm, il termine per gli emendamenti scade il 3 giugno, ma fino ad ora la Lega non ha anticipato in alcun modo il suo pacchetto, nemmeno alla presentazione dei referendum.

La sensazione è che la Lega punti a fare il partito di lotta pur rimanendo al governo, cavalcando il tema della giustizia nelle piazze ma senza di fatto affrontarlo nella sede parlamentare già avviata. Un gioco pericoloso che gli altri partiti provano a depotenziare: «La riforma della giustizia va fatta in parlamento – dice la capogruppo del Pd alla Camera, Debora Serracchiani –, è il momento delle soluzioni condivise e non delle bandierine agitate per convenienza politica».

Il 4 giugno Cartabia incontrerà la maggioranza in un vertice sulla riforma del Csm e la contromossa potrebbe essere quella di importare nel dibattito di commissione i temi dei referendum, alcuni dei quali sono appunto già stati proposti da altri partiti. Oltre che l’emendamento Costa già presentato sulle misure cautelari, infatti, anche il Pd porterà una proposta per introdurre membri laici con diritto di voto nei consigli giudiziari.

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