Il 6 agosto scorso il Comitato tecnico scientifico allegava al verbale della consueta riunione periodica un documento contenente la seguente raccomandazione: occorre «rafforzare le attività di contact tracing in modo da identificare precocemente tutti i potenziali focolai di trasmissione e continuare a controllare l’epidemia», soprattutto in vista della seconda ondata invernale.

Quell’allegato era firmato dall’Istituto superiore di sanità. Non un documento segreto, ma il monitoraggio che l’Istituto pubblica settimanalmente sull’emergenza Covid. I contagi allora erano solo 402.

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Analoghi report, con la stessa richiesta, si trovano allegati ad altri cinque verbali del Cts resi noti fino a ora (l’ultimo è del 18 settembre). Eppure quella costante spinta ad aumentare il tracciamento dei contagi non sembra essere stata ascoltata dal governo. Se è vero che il numero dei tamponi è cresciuto notevolmente nelle ultime settimane, il personale che deve gestire la mole di dati, comunicare i referti, segnalare i contagi, applicare la sorveglianza attiva dei positivi è da settimane in affanno, come ammesso anche dal premier Giuseppe Conte.

E il primo bando per assumere i “tracciatori” è arrivato solo due mesi e mezzo dopo da quella richiesta agostana, il 24 ottobre scorso. Ci ha pensato la Protezione civile. Su richiesta – riferiscono fonti del Dipartimento – non del ministero della Salute che ne avrebbe competenza ma del ministro degli Affari regionali Francesco Boccia.

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Per colpa di chi

«Sono le regioni che avrebbero dovuto potenziare il tracciamento», dice il sottosegretario alla Salute Sandra Zampa. «Esiste una circolare – continua l’esponente del Pd – e un provvedimento, ovvero il decreto Rilancio, in cui venivano assegnate alle regioni le Usca, al cui interno ci sono medici, operatori, vari profili adatti a fare anche questo lavoro. Ma le regioni non hanno assunto il numero necessario di personale».

Le Usca sono piccole task force, una «ogni 50mila abitanti», per la gestione domiciliare «dei pazienti affetti da Covid-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero». Sono state create a marzo, all’inizio del primo lockdown.

Nel decreto Rilancio il governo ha stanziato 61 milioni di euro per il solo 2020 allo scopo di farle funzionare al meglio. Le regioni avrebbero dovuto istituire queste unità di dottori, studenti specializzandi e laureati per lavorare sette giorni su sette, dalle 8 alle 20, per 40 euro lordi all’ora.

Il decreto disponeva la loro creazione in 10 giorni, ma la realtà è che a oggi poco o nulla è stato fatto in questa direzione. I numeri delle Usca attivate sono del tutto ignoti.

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Colpe da dividere

Le colpe sono sicuramente da dividere. Il balletto degli ultimi giorni racconta di presidenti che prima hanno chiesto di essere liberi di decidere per i propri territori, poi hanno chiesto al governo di assumersi l’onere delle scelte, quindi hanno contestato le decisioni prese. Ma questo non può essere un alibi per l’inazione dell’esecutivo.

Il monitoraggio dell’Iss dello scorso 18 settembre riportava che il 33,4 per cento dei casi erano stati diagnosticati grazie all’attività di screening e contact tracing, e solo per il 5,2 per cento non aveva un preciso accertamento diagnostico.

Un mese dopo, il 18 ottobre, quest’ultimo dato era triplicato, raggiungendo il 16,9 per cento, mentre solo un positivo su quattro era stato intercettato dalle attività di monitoraggio.

Se si risale al 30 luglio, quando i contagi erano solamente 382, un documento della Direzione generale della prevenzione sanitaria chiedeva di «continuare a rafforzare l’attività di testing-tracing-tracking in modo da identificare precocemente tutti i potenziali focolai di trasmissione e continuare a controllare l’epidemia».

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Parole inequivocabili

Dieci giorni dopo allegato al verbale viene pubblicato un documento dell’Iss e dello stesso ministero della Salute titolato “Elementi di preparazione e risposta al Covid-19 nella stagione autunno-invernale”. Vi si leggono parole inequivocabili: «La gestione dell’epidemia nei territori più colpiti è stata caratterizzata dal rapido sovraccarico dei servizi territoriali di contact tracing e testing».

Il bando della Protezione civile è stato aperto per assumere 2mila persone, 1.500 tra medici, infermieri e assistenti sanitari, e 500 amministrativi.

Ma in realtà lo scopo è quello di reclutarne molti di più. Perché farlo solo a seconda ondata inoltrata? «Noi siamo solo il braccio operativo – spiega una fonte del Dipartimento –. Ci è stato chiesto di attivare l’avviso solo a fine ottobre e in cinque giorni lo abbiamo fatto. Non siamo responsabili dei ritardi».

Rimane l’incognita di come verrano utilizzati questi nuovi tracciatori e, soprattutto, se le regioni decideranno di andare oltre alla soglia dei 2mila già coperta economicamente. I candidati ci sono, le sanità locali devono convocarli e contrattualizzarli, ma a spese loro.

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