«I russi odiano ciò che vive. Distruggono ospedali, asili nido, università, quartieri residenziali a tappeto. Come possiamo sopravvivere? Noi siamo diversi perché noi viviamo, non uccidiamo. Mi chiedono sempre come l’Europa può aiutare l’Ucraina, ma io vorrei formulare la domanda diversamente: come l’Europa può aiutare sé stessa. Questa guerra non è soltanto contro gli ucraini, ma contro i valori che ci uniscono, contro il nostro modo di vivere, non uccidere». E alla fine il primo messaggio all’Italia del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, come sempre in tenuta militare da resistente, trasmesso in diretta – benché all’inizio si parli di un video registrato – da Kiev, non arriva nel parlamento italiano, dove pure il presidente Roberto Fico si stava adoperando per portarlo, ma dalla piazza di Santa Croce di Firenze, da un maxischermo montato a fianco della bellissima basilica francescana, gioiello del gotico e simbolo della città.

Un fatto che sembra dare la misura, se mai servisse, dello scarso protagonismo delle istituzioni italiane nella vicenda della guerra russo-ucraina, a partire dal governo e dal suo capo. In giornata il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente francese Emmanuel Macron hanno parlato al telefono con Putin per convincerlo alla tregua. Ma non sembrano esserci segnali incoraggianti.

Il ricordo di Sassoli

Location intensissima per la seconda grande manifestazione per la pace nel giro di una settimana. Fortissimamente voluta dal sindaco Dario Nardella che l’ha organizzata da presidente di Eurocities, l’organizzazione delle città europee. Infatti sfilano molti sindaci italiani (fra gli altri quello di Roma, di Bologna, di Bergamo, la sindaca di Assisi) e altri mandano videomessaggi, alcuni ad altissimo tasso di emozione, come il sindaco di Kiev, l’ex pugile Vitalij Klycko, anche lui come il suo presidente in tenuta militare.

Ma anche quello di Atene Kostas Bakogiánnis, di Edimburgo Frank Ross, di Madrid José Luis Martinez-Almeida, di Varsavia Rafal Trzaskowski e di Marsiglia Benoît Payan.

La kermesse parte con il video di un appassionato discorso europeista di David Sassoli, il presidente del parlamento europeo scomparso lo scorso gennaio, subito dopo diciassette rintocchi di campana, uno per ogni giorno di guerra a ieri. La regia della manifestazione è un gioco di squadra fra il romano Daniele Palmisano, e il fiorentino Massimo Cecchini.

Conduce Camila Raznovich, scrittrice ed ex vj, di madre italiana e padre argentino di origine ebraico-ucraina. Parla anche l’ambasciatore ucraino Yaroslav Melnyck: «Difendiamo i nostri e vostri valori».

No fly zone

In this image from video provided by the Ukrainian Presidential Press Office and posted on Facebook early Saturday, March 12, 2022, Ukrainian President Volodymyr Zelenskyy speaks in Kyiv, Ukraine. (Ukrainian Presidential Press Office via AP)

I problemi tecnici non spezzano la tensione delle parole di Zelensky, che arrivano addosso ai ventimila presenti in piazza, un mare di bandiere giallo azzurre ucraine, ma soprattutto arrivano ai tanti collegati in streaming e in tv (Rai News trasmette l’evento quasi completamente in diretta, gli organizzatori annunciano cento città europee collegate).

Il presidente, che dal suo account Instagram poi diffonderà il suo intervento insieme alle immagini della piazza, ha una cosa precisa da chiedere anche all’Italia: «Servono le sanzioni contro la Russia affinché ogni soldato russo capisca il prezzo di ogni sparo contro i civili, serve che il mondo degli affari capisca che stanno distruggendo la vita, bisogna fare di tutto affinché le società non diventino lo sponsor di questa guerra», ma soprattutto, «dite ai vostri politici di chiudere il cielo sopra l’Ucraina dagli aerei e razzi russi che hanno ucciso 13.000 ucraini in 17 giorni. Questo ci difenderà, noi come voi. Lo sapete e capite tutti».

Sarebbero tredicimila morti civili, 1.300 militari, e 79 bambini, a ieri. Questa piazza di sindaci sta con l’Ucraina, «Cities stand with Ukraine», dice il grande striscione sotto il palco, e capisce perfettamente la richiesta del presidente, tant’è che per tutto il tempo dell’evento le telecamere non possono non inquadrare il grande cartello innalzato da cittadini ucraini che dice «Close the sky», chiudete il cielo. È la richiesta di una no fly zone sopra il paese invaso, per fermare i bombardamenti.

Ma l’Unione europea non può rispondere sì. E la Nato non deve, significherebbe l’ingresso dell’alleanza atlantica in guerra. E allora a Nardella non resta che sventolare la bandiera della pace, chiedere «una tregua umanitaria» e assicurare che «per noi l’Ucraina è già Europa. I cittadini dell’Ucraina sono cittadini di Firenze, di Bologna, di Berlino».

Si unisce a Zelensky nella denuncia dell’arresto del primo cittadino di Melitopol Ivan Fedorov da parte di una squadra di militari russi, «fermate subito questo scempio». «Gloria all’Ucraina» è il saluto di Zelensky, che è anche l’ultimo passaggio della versione ucraina di Bella ciao, inno resistente che in questi giorni è stato riadattato come inno alla lotta contro l’invasione dell’armata russa.

Tutti uniti

La manifestazione è «anche una risposta unitaria», urla Nardella dal palco, «perché in questa piazza ci sono tutti i sindacati, tutte le forze politiche, tutti i movimenti culturali, le associazioni, e quindi non posso che essere grato e commosso per questa giornata di speranza e di vicinanza al popolo ucraino che sta soffrendo e sta subendo un’aggressione incomprensibile e scellerata». Ed è vero che hanno aderito tutti i partiti tranne Lega e Fratelli d’Italia. In piazza ci sono molti politici.

Fra gli altri i ministri Roberto Speranza e Andrea Orlando, Carlo Calenda, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli, lo stato maggiore del Pd al completo, e poi Nicola Zingaretti, Stefano Bonaccini e tanti presidenti di regione. Ci sono esponenti di Italia viva che contestano «chi predica l’equidistanza fra aggredito e aggressore». Matteo Renzi non c’è, viene spiegato che ha un impegno all’estero. Un cartello infinito di adesioni di associazioni. Spiccano l’Anpi e i sindacati Cgil, Cisl e Uil, che sette giorni fa erano stati divisi dalle polemiche sul «no all’invio delle armi in Ucraina», che aveva portato la Cisl a disertare l’altra piazza, quella di sabato scorso a Roma. Maurizio Landini era stato su quel palco, ed è in questa piazza, e anche da qui invoca l’Onu: «Io continuo a pensare che non è inviando armi che si blocca la guerra, pensare che mandando un po’ di armi si blocca uno degli eserciti più grandi del mondo è un atto di cinismo».

Lo «spirito di Santa Croce»

Letta parla dello «spirito di Santa Croce». Ha fatto personalmente le spese delle critiche del popolo disarmista e della sinistra radicale – i muri di Roma sono stati tappezzati da manifesti con la sua foto con elmetto militare e giubbotto antiproiettile, critica dura al suo «interventismo» – e per questo si butta le divisioni alle spalle, quelle sui «veri» o «falsi» pacifisti e quelle ancor più stucchevoli fra i «veri» o «falsi» partigiani. «È importantissimo che qua ci siano tutte le bandiere, quelle di tutti i partiti», o quasi in realtà, «siamo tutti insieme uniti contro la guerra.

Abbiamo voluto dare un messaggio, che gli italiani sono con il popolo ucraino, con la resistenza del popolo ucraino, perché il popolo ucraino sta lottando per valori di democrazia, di libertà, di autodeterminazione dei popoli che sono i nostri valori, sono i valori della nostra civiltà. Siamo con loro».

Il segretario del Pd non tocca il tasto delle armi inviate dall’Italia ma comunque chiede «risposte più forti rispetto a quanto è stato fatto fino a ora: bisogna resistere, far sì che ci sia il tempo perché le sanzioni facciano il loro corso, le sanzioni metteranno in ginocchio Putin e la Russia di Putin, sono sicuro di questo». L’invocazione dell’unità non è solo un modo per portarsi a casa l’indubbio successo di questa piazza pacifista, a un anno esatto – domani – dalla sua elezione alla segreteria del Pd, e dopo le critiche dure ricevute dall’altra piazza. Per Letta è anche un modo per prepararsi al peggio, perché, spiega lontano dalle telecamere, «bisognerà dire al paese parole di verità, Draghi ha già cominciato a farlo. Dovremo affrontare scelte complicate, servirà l’unità dei cittadini e dei ceti dirigenti».

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